mercoledì 16 gennaio 2013

VALDOBBIADENE DOCG: AUTOCTONO TERROIR DI BOLLICINE


VALDOBBIADENE DOCG: AUTOCTONO TERROIR DI BOLLICINE

Il Prosecco è un vino di antica origine e la sua storia è univocamente legata con la zona di produzione e alle vicende che hanno caratterizzato il trascorrere delle generazioni di produttori nel territorio. Un vino per essere “grande” deve essere intimamente legato con il territorio di produzione valorizzandone la storia, la cultura, la tradizione. Il Prosecco sino al 2009 faceva riferimento ad un vitigno (ora glera) e come tale poteva essere coltivato in ogni parte del mondo, con risultati che non possono essere paragonati con quelli del ConeglianoValdobbiadene in cui questo vino viene prodotto da almeno 300 anni. Per protegger il Prosecco nel 2009 la zona storica e maggiormente qualitativa di ConeglianoValdobbiadene è passata da DOC a DOCG, privilegiando il concetto di terroir, mentre quella pianeggiate è divenuta DOC questo ci permette la tutela della denominazione di origine a livello internazionale.
Il Prosecco era un vitigno (ora Glera) di antichissime origini addirittura precedente alla colonizzazione dei Romani, come afferma il Professor Dalmasso, avvenuta circa 200 anni avanti cristo anche se esso è documentato soltanto dagli ultimi anni della Repubblica di Venezia e quindi vive tra le colline trevigiane  da almeno 300 anni. Nel 100 a.c. era avvenuta la centuriazione del territorio trevigiano attorno a Treviso, Oderzo, Conegliano, Ceneda ed Asolo e i coloni Romani avevano piantato sia in collina che in pianura le viti. Non è immediato stabilire una data di inizio della coltivazione della vite 
nella zona di ConeglianoValdobbiadene, alcuni Poeti Latini passando in questa zona portano testimonianza che già più di 2000 anni fa sulle colline di ConeglianoValdobbiadene si coltivava la vite. Il Poeta Virgilio (70-19 a.c.) di passaggio tra queste terre afferma:
“Adspice, ut, autrum silvestris raris sparsit lambrusca recemis”  “guarda come la vite selvatica, la lambrusca, ha ricoperto qua e là la grotta con i suoi grappoli. Pochi anni più tardi il poeta può invece cantare: “Lentae textunt umbracula vites”  “le viti flessibili tessono ombre leggere”.
Un’altra importante testimonianza ci viene da San Venanzio Fortunato originario di Valdobbiadene, vescovo di Poitiers, che di Valdobbiadene afferma con nostalgia:”QUO VINETA VERNANTUR, SUB MONTE JUGO CALVO, QUO VIROR UMBROSUS TEGIT SICCA METALLA” (“luogo dove germoglia la vite sotto l’alta montagna, nella quale il verde lussureggiante protegge le zone più disadorne”). Ciò testimonia che nel 500 sulle colline di  ConeglianoValdobbiadene c’era una fiorente viticoltura, ancora prima che arrivassero i Longobardi.
Un fatto importante che testimonia l’importanza del vino di ConeglianoValdobbiadene, dal punto di vista economico, si ha nel 1318 quando alcuni mercanti Tedeschi comprano a Conegliano 21 carichi di vino con la condizione che il dazio fosse pagato dai venditori Coneglianesi. Ma quando i Tedeschi partirono con il carico di vino e si diressero verso Serravalle un emissario del Podestà di Treviso li fermò e dirottò la colonna con le botti verso la città. Conegliano si lamentò subito con il podestà di Treviso pregandolo di far restituire agli acquirenti il vino e i cavalli sequestrati. La questione fu vagliata al Consiglio dei Trecento che aveva la facoltà deliberativa e con 196 voti a favore e 27 contro il vino e i cavalli furono restituiti ai tedeschi a patto che Conegliano pagasse il dazio. I vini di ConeglianoValdobbiadene erano per affermazione di Bonifaccio, molto preziosi e garantivano un buon reddito ai produttori della zona. Si ricorda nel 1532 il passaggio di Carlo V per Conegliano, al quale venne offerto l’eccelentissimo vino di Collabrigo e del Feletto. Nel 1500 Venezia comprese che era più conveniente rifornirsi di vino nella terraferma veneta, trevigiano, padovano, friuli, rispetto alla puglia e alle isole greche. Barche cariche di botti di vino arrivavano a Venezia dal Piave, dal Brenta, dal Sile, dal Livenza quotidianamente e andavano alla mensa dei veneziani. In questi anni i mercanti della Serenissima compravano grandi quantità di vino a Conegliano cercando di frenare in ogni modo le esportazioni verso il centro europa, con interventi di natura fiscale. I produttori di Conegliano e del Felettano non volevano assolutamente perdere i mercati tedeschi, floridi da secoli, ne veder diminuito il flusso del proprio vino verso il centro europa a favore di Venezia.  Nel 1544 il Consiglio della Magnifica Comunità di Conegliano aprì addirittura una vertenza con il rettore veneziano Giacomo Gabrielli inviando ambasciatori a Venezia perché fossero rispettati gli antichi privilegi, sottolineando “di quanta importantia et momento sia vender li vini di monte di questo territorio quali per la maggior parte sono allevati e comprati da tedeschi con utile universale di questa terra”.
Per gli abitanti di Conegliano e dei colli vicini il vino era diventato nel tempo il prodotto più importante quasi loro stendardo di nobiltà per mostrarlo all’intera europa.  Nel 1574 al passaggio di Enrico III Re di Pollonia che si recava a Parigi per essere incoronato Re di Francia la comunità di Conegliano fece sgorgare per un giorno intero dalla fontana del Nettuno il vino bianco dei colli. Già 150 anni prima il Doge Francesco Foscari aveva citato in una Ducale del 6 novembre 1431 il vino bianco e ottimo del Feletto. Infine nel 1606 Zaccaria Contarini in una relazione al senato veneto per indicare di quanta importanza fosse la produzione enologica di Conegliano, stimava la produzione di vino bianco in 5000 botti annue che andavano in gran parte in Germania e Polonia. La lenta e inesorabile agonia della Repubblica di Venezia iniziata nel 1492 con la scoperta dell’America e resa sempre più palese nel 1600 con lo spostamento progressivo dei traffici commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico. Il declino coinvolse nel 1700 anche la terraferma Veneta e per lo più il comprensorio di ConeglianoValdobbiadene fu investito da un’ondata di gelo che fece morire gran parte del patrimonio viticolo della zona. Nelle città a causa della crisi economica si andava espandendo una volgarizzazione dei consumi che privilegiava i vini di bassa qualità con ripercussioni negative nelle aree di produzione. Il 1700 è quindi un secolo cupo per la viticoltura di ConeglianoValdobbiadene seppur fervido di dibattiti e proposte nuove.
Questa è la terra del ConeglianoValdobbiadene Prosecco DOCG e al di là delle molte leggende che ne avvolgono le lontane origini, inizia di fatto con la nascita delle Accademie di Agricoltura volute dalla Repubblica di Venezia sul tramontare della sua millenaria vita. Tra queste quella di Conegliano nata nel 1769 come evoluzione dell’Accademia degli Aspiranti fondata nel 1603 e proprio in un intervento all’Accademia di Agricoltura di Conegliano il 26 febbraio 1772 il sacerdote Antonio Del Giudice soffermandosi sulla “impurità e quindi la poca curabilità dei vini delle colline di Conegliano afferma che questo difetto non è dovuto alla natura del terreno ma all’imperizia dei fabricarli e alla cattiva scelta che si fa delle viti, la cui moltiplicazione era la causa della mancata produzione di vino puro e durevole”. I problemi evidenziati dal sacerdote erano evidenti prima di tutto la negligenza dei padroni, cioè il loro disinteresse per i possedimenti agricoli, lasciati privi di investimenti e di cure, e la scelta delle viti da mettere in produzione. Vengono estirpate le viti poco produttive, che producevano vini di elevata qualità, a favore di quelle più produttive con grave danno per la qualità del prodotto. Nei resoconti di un intervento per rinnovare e fissare le regole della vitienologia sempre nel 1772 in questa accademia si legge che l’accademico Francesco Maria Malvolti, pone una domanda:”Chi non sa quanto siano squisiti i nostri Marzemini, Bianchetti, Prosecchi, Moscatelli, Malvasie e Grassari che in varie di queste colline si formano?”. L’importanza della domanda sta nel fatto che è la prima volta che nominato il Prosecco, che quindi è prodotto ed apprezzato da prima della seconda metà del 1700. Un altro intervento all’Accademia di Conegliano nel 1778 è del Conte Pietro Caronelli che lamentava la diminuzione delle esportazioni in Germania dei vini prodotti nella zona e proponeva di impedire l’accrescimento del cattivo vino con il conseguente adacquamento del medesimo e invitava a selezionare le viti da impiantare tra: Marzemina Nera, Bianchetta, Pignola nera e bianca. Scartando invece le volgarmente denominate dell’Occhio e Verdise di cui la prima da un mosto aspro mentre la seconda acqueo ed insipido.
Non si conosce quando e in che modo l’antenato del Prosecco sia giunto dal Carso alle terre di ConeglianoValdobbiadene, ma questa data può essere fissata negli ultimi decenni di vita della Repubblica di Venezia, intorno al 1750. Mentre la Serenissima era ormai al tramonto sorgono nelle colline di ConeglianoValdobbiadene nuovi fermenti proprio in quel settore che da molto tempo appariva il più trascurato. Il 1700 come detto è stato un secolo difficile per la vitienologia Trevigiana, ma sul finire del secolo su sollecitazione della borghesia, sensibile ai cambiamenti che proprio in quei tempi avvengono in Francia, nascono nuovi propositi di rinnovamento nel settore.  Il ruolo più importante fu assunto dall’Accademia di Conegliano istituita nel 1769 come evoluzione dell’Accademia degli Aspiranti fondata sempre a Conegliano nel 1603. Queste accademie erano in sostanza dei circoli culturali formati da proprietari viticoli, tecnici, studiosi ed intellettuali che si riunivano per dibattere i comuni problemi con i massimi esperti del settore, catalogare in modo sistematico i vigneti, la loro estensione, qualità e quantità di uva prodotta. In una di queste assemblee nel 1772 viene citato per la prima volta dall’accademico Francesco Maria Malvolti il Prosecco. Il Prosecco nasce da un’uva non autoctona perché tornando agli interventi di Del Giudice e Caronelli all’Accademia Agraria di Conegliano non si trova nominato il Prosecco tra i vecchi vitigni delle colline di  ConeglianoValdobbiadene. Non ci sono per ora arrivati documenti del passaggio del Prosecco dal Carso al  ConeglianoValdobbiadene, ma nel 1772 il Malvolti la considera come uno dei vini prodotti nella zona e questo fa pensare che fosse qui coltivato da diversi anni. A ricordarlo è anche il reverendo Del Giudice che lo considera uno dei migliori vitigni insieme alla Bianchetta e alla Marzemina. Fatto di importanza storica se si considera che ancora oggi la Bianchetta è coltivata tra le colline di ConeglianoValdobbiadene e rappresenta la continuazione storica che fin dal medioevo ha fatto del bianco di  ConeglianoValdobbiadene uno dei più richiesti ed apprezzati. Mentre il Prosecco è diventato lo spumante Italiano più famoso, oltre che ad essere principe assoluto delle nostre colline. La caduta della Repubblica di Venezia del 1797 non intaccò nei viticoltori e nelle autorità la voglia di rilanciare la viticoltura ed enologia del ConeglianoValdobbiadene. In seguito al Congresso di Vienna del 1815 l’imperatore dell’Austria-Ungheria, succeduto al governo del Lombardo Veneto, alla Repubblica di Venezia e poi a Napoleone, spinto dalla necessità di conoscere il patrimonio viticolo della regione da incarico al Conte Pietro di Maniago di formulare un catalogo dei vitigni coltivati, che questo gli consegnerà nel 1823. Maniago cita per le colline di ConeglianoValdobbiadene la Perella, la Pignoletta bianca, la Verdisa lunga(strascalone), dell’Occhio, Marzemino nero e Prosecco.  
Verso il 1850, quando queste terre appartenevano ancora all’Impero Austro-Ungarico, lo studioso Gian Battista Semenzi a proposito dei vini prodotti nel  ConeglianoValdobbiadene afferma:” Nelle colline le uve producono i squisitissimi vini bianchi sono: la Verdisa, la Prosecca e la Bianchetta. Questi vini venivano venduti in Carinzia e in Germania cioè in quella Mitteleuropa di cui il Veneto faceva parte integrante. Alcuni anni dopo la nascita dello stato Italiano(1861) il parlamento decide di redigere un’indagine sulle condizioni dell’agricoltura italiana “Inchiesta Jacini”. Per il territorio di ConeglianoValdobbiadene i ricercatori consigliano di estirpare i vecchi vigneti e sostituirli con altri di qualità superiore. All’epoca si producevano nel comprensorio di ConeglianoValdobbiadene 25000 hl di Verdiso, 6600 di Bianchetta, 3800 di Boschera e 3200 di Prosecco che quindi era un vitigno del tutto secondario. Alcuni anni più tardi nel 1868 grazie all’impegno del Dottor Antonio Carpenè e dell’Abate Felice Benedetti, presidente del Consorzio Agrario di Conegliano, viene fondata sempre a Conegliano la Società Enologica Trevigiana.  Questa nuova istituzione fu di portata dirompente per l’ancora stagnante viticoltura Trevigiana innescando una rivoluzione vitivinicola i cui frutti positivi iniziano ben presto a farsi vedere, specie per il Prosecco che verrà allevato sempre più in purezza, mentre prima era misto con altre varietà. I mertiti di aver dato inizio alla storia moderna del Prosecco vanno al Conte Marco Giulio Balbi Valier che negli anni sucessivi al 1850 aveva isolato e selezionato un clone di Prosecco migliore degli altri, individuato ancora oggi come “Prosecco Balbi”. Il Conte da alle stampe nel 1868 un libretto composto “Per le auspicatissime nozze Bianchini-Dubois” in cui descrive le proprie coltivazioni che si trovano a metà tra Conegliano e Valdobbiadene a Pieve di Soligo. Egli scrive:” un quarto delle suddette Pertiche cen.380, non potendosi con esattezza precisare la quantità è tutta a vigneto, che piantai a viti Prosecche, più sicure ed ubertose di ogni altra qualità, e che danno un vino bianco sceltissimo, pieno di grazia e di forza”. Nasce dunque in questi anni la moderna avventura di un vino che in un secolo ha saputo conquistare il mondo grazie alla perizia di viticoltori, vignaioli ed istituzioni che lo hanno saputo esaltare al meglio. Va ricordata la Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano nata nel 1876 come erede della Società Enologica Trevigiana. Questa scuola concepita da Antonio Carpenè insieme a Gian Battista Cerletti ha avuto tra i suoi docenti più noti, personaggi di altissimo prestigio internazionale come Arturo Marescalchi, Giovanni Dalmasso e Luigi Manzoni i quali posero le basi per la moderna Scienza viticola ed enologica.  Marescalchi fu chiamato al governo come sottosegretario all’Agricoltura, Dalmasso fondò l’Accademia della Vite e del Vino e fu preside della facoltà di Agraria dell’Università di Torino mentre il Manzoni realizzò quei felicissimi incroci che tramandano il suo nome, legato a vini davvero eccellenti. Questa scuola ha rappresentato il volano per lo sviluppo enologico non solo del ConeglianoValdobbiadene ma dell’intera viticoltura italiana. Allievi usciti da questa scuola sono andati nelle più importanti aziende italiane, ed estere come: Sudafrica, California ed Australia. L’impostazione della Scuola Enologica di Conegliano è di tipo Universitario non limitandosi a trasmettere la più avanzata cultura Enologica, ma indirizzando gli allievi nel campo della ricerca. Proprio questo settore risultò vincente, la realizzazione di nuovi vigneti sperimentali per allevare nuovi vitigni, descriverli e ammodernare le tecnologie d’impianto e produzione per combattere le malattie e migliorarne gli sbocchi commerciali I primi anni di attività didattica della scuola mise in luce la necessità di approfondire il campo della ricerca dopo che malattie come  la filossera, oidio e peronospora oltre che la Prima Guerra Mondiale avevano devastato la viticoltura del ConeglianoValdobbiadene, colline occupate per un anno intero dalle truppe Austro-Ungariche. Dopo la guerra i produttori e docenti sentivano il bisogno di una nuova Istituzione dedita in maniera specifica alla ricerca scientifica e capace di risolvere i problemi quotidiani dei viticoltori. Di questa esigenza presero atto i professori Giusti e Dalmasso che studiarono la struttura da dare alla nuova istituzione. Nacque così nel 1923 la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia di Conegliano la quale, unica nel suo genere, fu diretta dal professor Giovanni Dalmasso con la collaborazione di altri due grandi scienziati, Italo Cosmo e Giuseppe Dall’Olio. Sulla scia di un’antica tradizione iniziata nel 1603 con l’Accademia degli Aspiranti, poi con l’Accademia di Agricoltura nata nel 1769, quindi nel 1868 con la Società Enologica Trevigiana, nel 1876 con la Scuola di Viticoltura ed Enologia ed infine con la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia, Conegliano si pone all’avanguardia in italia per gli studi e le ricerche conservando fino ad oggi il suo primato a servizio di una viticoltura di continuo sviluppo qualitativo.
Ma è nell’ultimo dopoguerra che il ConeglianoValdobbiadene esprime al meglio le sue grandi potenzialità. E’ concluso da poco il Secondo Conflitto Mondiale quando i più attenti viticoltori di Valdobbiadene si organizzano per difendere, valorizzare la viticoltura collinare e l’antica tradizione vitivinicola, costituiscono il 14 agosto 1945 la Confraternita dei Cavalieri del Prosecco. Questa Confraternita è sempre attenta a far conoscere ai propri soci le indicazioni utili allo sviluppo della vitienologia collinare di Conegliano Valdobbiadene, accogliendo le personalità più emineti dell’enologia italiana come: Giovanni Garoglio, Italo Cosmo, Giuseppe Dall’Olio, Francesco Fabbri senatore e ministro della Repubblica, Giuseppe Schiratti fondatore della Strada del Prosecco e l’accademico Giuseppe Mazzotti noto per l’impegno a la valorizzazione delle tradizioni e del patrimonio culturale ed artistico della Marca Trevigiana. Emerge la necessità, oltre che avere le istituzioni e gli uomini, di incidere sull’aspetto legislativo per migliorarne la qualità e salvaguardare la tipicità del ConeglianoValdobbiadene Prosecco. Nasce così il 7 giugno 1962 il Consorzio di Tutela del vino ConeglianoValdobbiadene Prosecco con sede a Villa Brandolini presso Solighetto di Pieve di Soligo. Da allora il Consorzio opera con grande intelligenza e determinazione per difendere, valorizzare e promuovere l’immagine del Prosecco facendolo conoscere non solo in italia ma anche all’estero offrendo agli estimatori di tutto il mondo caratteristiche inimitabili proprie soltanto della terra d’origine ossia ConeglianoValdobbiadene.
Il risultato dell’impegno dei produttori e del Consorzio di Tutela si fanno subito vedere tanto che nel 1963 Valdobbiadene diventa ufficialmente capitale non solo del Prosecco ma dell’intero mondo dello spumante italiano con la Mostra Nazionale degli Spumanti nella prestigiosa Villa dei Cedri di Valdobbiadene, punto d’incontro tra tutti gli spumantisti italiani fra cui quelli di Prosecco occupano un posto di tutto rilievo. Alcuni anni più tardi nel 1969 il ConeglianoValdobbiadene conquista un altro prestigioso risultato quando il comprensorio collinare ottiene la DOC e il vitigno Prosecco il maggiore riconosciuto dal disciplinare di produzione. Quarantanni dopo, luglio 2009 ottiene il massimo riconoscimento Italiano per un vino, la DOCG denominazione di origine controllata e garantita. Questo riconoscimento viene osservato sempre con maggiore interesse anche lontano dalla zona di produzione e comincia ad essere richiesto nei ristoranti ed enoteche più esclusive di tutto il mondo. In questi anni il ConeglianoValdobbiadene DOCG Prosecco Superiore è divenuto lo spumante più richiesto in italia e nel mondo, grande vanto per un vino davvero unico e come ha scritto Tullio De Rosa, ricercatore tra i più preparati ed intelligenti e vero maestro dei giovani enotecnici usciti dalla Scuola di Conegliano:

dalle colline da cui nasce esso diffonde la sottile malia su quanti lo ricercano nelle tiepide giornate di primavera, quando il suo profumo di fiori, il suo profumo di miele selvatico si mescola con i cento, coi mille profumi di fiori che allora innondano le rive. Un calice di Prosecco, dal bel paglierino leggero, scrico di tinta, con qualche perla gassosa che si svolge nel bicchiere, è un compiacimento, è un godere le piccole gioie che ancora riusciamo a strappare alle preoccupazioni di tutti i giorni. Così dev’essere un bianco: un invito a bere, un poco d’umanità a nostra disposizione”.


















venerdì 25 maggio 2012

IL GLUCONATO DI RAME: PROVE DI EFFICACIA


UN PRODOTTO A BASSO DOSAGGIO DI RAME PER LA
DIFESA CONTRO LA PERONOSPORA DELLA VITE: IL GLUCONATO DI RAME

S. Dagostin, U. Gamba, M. Pinna, I. Pertot
Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione
Via Mach, 1, I-38010 San Michele all’Adige (TN)
CRAB scrl Centro di Riferimento per l’Agricoltura Biologica 
Via San Vincenzo, 48,   I-10060 Bibiana (TO)
E-mail: ilaria.pertot@iasma.it

La peronospora della vite, causata dall’oomicete Plasmopara viticola (Berk. & Curt.) Berl. & De Toni è una delle più importanti e devastanti malattie della vite, che si manifesta in particolare nelle zone caratterizzate da condizioni atmosferiche calde e umide. Ad oggi, in agricoltura biologica, la lotta contro la peronospora si basa quasi esclusivamente sull’uso di fungicidi a base di rame. Tuttavia, al fine di ridurre i danni ambientali causati dai metalli pesanti, la Commissione Europea (Regolamento CEE n. 473/2002) ha notevolmente ridotto i quantitativi di prodotti cuprici impiegabili in agricoltura biologica. Molti studi hanno valutato l’efficacia di prodotti non rameici a basso impatto ambientale, ma finora nessun composto ha evidenziato un’attività antiperonosporica tale da consentirne un uso immediato in viticoltura biologica. Tuttavia, se la sostituzione totale del rame può risultare ancora difficile, l’utilizzo delle formulazioni a basso contenuto di rame potrebbe consentire di ottenere un buon controllo della malattia con riduzione dei quantitativi di rame 
metallo immesso nell’ambiente. Tra le nuove formulazioni testate in numerosi studi condotti tra il 2005 e il 2009, Labicuper (Melaxa) sembra essere la più efficace sia in condizioni di serra che in condizioni di campo. Labicuper è una formulazione liquida a base di gluconato di rame, che presenta una concentrazione di ioni rame (Cu2+) pari all’8%. Applicato a 3 ml/l, in condizioni di serra, Labicuper ha permesso di ottenere un controllo dell’infezione di peronospora superiore a quello ottenuto Con idrossido di rame (Kocide 2000, 1,42 g/l, 35% Cu2+) considerato come standard commerciale (rispettivamente il 2,3 e il 12,2% di gravità della malattia su foglia). Gli studi di persistenza dell’attività di Labicuper nel tempo indicano che la sua attività 
antiperonosporica non diminuisce se applicato fino a sei giorni prima dell’infezione. Tuttavia, sperimentazioni sulla resistenza al dilavamento mostrano un lento calo dell’attività del prodotto, pur mantenendo un’efficacia del 49% anche dopo 50 mm di pioggia simulata. Si ha conferma dell’elevata attività del gluconato di rame anche nelle prove di campo, condotte in Trentino ed in Piemonte dal 2005 al 2009. In entrambi i siti, in ciascun anno, il controllo delle infezioni di peronospora con Labicuper risulta essere del tutto comparabile a quella ottenuto con idrossido di rame sia su foglie che su grappoli. Le analisi effettuate alla raccolta dell’uva hanno evidenziato che anche la resa e la qualità dei grappoli è simile allo standard commerciale. In tutte le prove di campo, le quantità di rame metallo utilizzate in Trentino e in Piemonte nei trattamenti con Labicuper sono risultate, rispettivamente, circa il 30 e 60% inferiori a quelle utilizzate per i trattamenti con idrossido di rame, rimanendo comunque inferiori al limite legale dei sei kg/ha anno. In conclusione, Labicuper consente un controllo totale della malattia con un apporto inferiore di rame metallo nell’ambiente e può essere considerato un valido prodotto per la lotta biologica alla peronospora.


lunedì 21 maggio 2012

COLFONDO


Il ColFondo (chiamato anche SUR LIE) è il vino della tradizione di Valdobbiadene ed è prodotto dalla maggior parte delle piccole aziende della zona. Alla produzione di questo vino  si utilizza la tipica uva della zona storica di Valdobbiadene, la Glera. Vendemmiata ben matura viene vinificata e fermentata, il freddo invernale arresta la fermentazione che riprenderà con il rialzo termico primaverile. L’imbottigliamento avviene tra marzo e aprile a cui segue la fermentazione e la maturazione sui lieviti. Ogni bottiglia di colfondo è unica, in quanto rifermentata singolarmente in modo naturale conferendo a questo vino i classici profumi di lievito, crosta di pane e note fruttate dando complessità e pienezza olfattiva, struttura e mineralità. Ogni annata si differenzia dalle altre e l’età delle bottiglie incide sull’equilibrio del vino, questa tipologia di “Prosecco” è quella più longeva. Il Colfondo prodotto a Valdobbiadene o Asolo può essere dichiarato DOCG se viene tappato con tappo a sughero e posta apposita fascetta di stato, molti produttori della zona lo producono come Prosecco DOC TREVISO o vino bianco, rifermentato in bottiglia e questo per utilizzare il tappo a corona che consente al vino la massima riduzione. Il Colfondo va servito ad una temperatura di 8°C scaraffato quindi limpido, anche se c’è chi lo serve torbido. Il periodo ideale per il consumo va da metà ottobre in poi. 

venerdì 10 febbraio 2012

 PRODUTTORI PRESENTI 

ASOLO Bele Casel
ASOLO- MONTELLO Ida Agnoletti
PIAVE Carolina Luna Gatti
PIAVE Maurizio La Basseta Donadi

VALDOBBIADENE-CONEGLIANO Zanotto
VALDOBBIADENE-CONEGLIANO Costa di là
VALD
BBIADENE-COL S. MARTINO Ferronato F.lli
VALDBBIADENE-COLBERTALDO Brustolin Nicos
VALDBBIADENE-COLBERTALDO Miotto Walter 
VALDBBIADENE-SAN GIOVANNI Sergio Dal Molin
VALDBBIADENE-GUIA Bival Termen
VALDBBIADENE-GUIA Bruno Bortolin
VALDBBIADENE-GUIA Caneva da Nani
VALDBBIADENE-FOLLO Romolo Follador Termen
VALDBBIADENE-FOLLO Az. Agr. Ruge Ruggero Ruggeri
VALDBBIADENE-SANTO STEF Le Piovene Miotto Andrea Termen
VALDBBIADENE-SANTO STEF Valdivina 
VALDOBBIADENE Stramaret Carlo x il manzoni bianco,
VALDOBBIADENE Piccolin per il pinot nero,
VALDOBBIADENE Oscar Viviani per il rosè

DEGUSTATORI PRESENTI
Marco Merotto
Enrico Bronca 

Marco Vettoretti 
Giuseppe Piovesan
Giuliano Pozzobon
Marco Vettoretti
Claudio Toce
Ailsa Winght
Marco Rosanda
Berni Zambon
Damiano Scudieri
Mirna Paoletti
Alessio Dal Cin
Fabio Guizzo

giovedì 16 giugno 2011

AVVERSITA' DEL VIGNETO: LA GRANDINE


GRANDINE E ANTIGRANDINE
 LA GRANDINE

La grandine è un fenomeno associato ai temporali che può variare nel tempo e nello spazio. La cella temporalesca in cui si forma la grandine è una struttura meteorologica bizzarra e difficilmente prevedibile per la quale non è possibile dire a priori se, dove e quando grandinerà, ma solo ipotizzare l'esistenza di condizioni favorevoli al verificarsi del fenomeno. La previsione a brevissima scadenza (1-4 ore), detta nowcasting, è in grado di fornirci qualche informazione in più grazie alle immagini dei radar meteo, che tuttavia, consentono una previsione dell'ordine di poche decine di minuti (cristalli di ghiaccio nella sommità della nube già in formazione per essere scoperti dagli echi radar), e  quindi  difficilmente utilizzabile a fini pratici (problemi nella diffusione rapida delle informazioni e impossibilità di attuare eventuali contromisure in tempo utile). Pertanto non ci sono modelli matematici in grado di fornire una previsione mirata per la grandine e dai quotidiani o dai vari bollettini presenti in internet si può solo essere attenti alle situazioni propizie ad elevata attività temporalesca, nelle quali la probabilità di formazione di grandine è la maggiore. Diversa la previsione statistica dell'incidenza del fenomeno a scala geografica (frequenza e intensità), teoricamente fattibile, in pratica non applicabile. Le osservazioni della grandine risultano infatti generalmente frammentarie, irregolari e incomplete. Solo poche regioni, come l'Emilia Romagna, il Friuli e Trentino, da qualche anno si sono dotate di reti di "hailpads", pannelli di poliuretano che colpiti dalla grandine consentono una misura quantitativa del fenomeno (numero e dimensioni dei chicchi). Insomma, si spendono un sacco di soldi per pagare i danni, per attrezzare le colture con metodi di difesa passiva e in qualche caso addirittura attiva (cannoni e simili - ormai palesemente rifiutati dalla scienza ufficiale come del tutto inefficaci), e non si investe una modesta parte di queste risorse nell'attività più utile e facilmente attuabile: l'osservazione e la conoscenza di base del fenomeno grandinigeno con un programma omogeneo su base nazionale.

Dinamica della grandine

La grandine si forma solo nel cumulonembo ad incudine (Cb capillatus incus), nube temporalesca in cui una gran quantità di acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di goccioline sopraffuse (liquide pur in ambiente sottozero) poichè soltanto a meno -40°C il ghiacciamento avviene in ogni caso. Inoltre particelle come il sale marino o il pulviscolo atmosferico sono in grado di dar luogo a cristalli di ghiaccio e che trasportati verso l'alto dai forti updrafts vanno a costituire la parte superiore della nube: questi sono gli embrioni sui quali si svilupperà il chicco di grandine. Nel cumulonembo coesistono quindi cristalli di ghiaccio (parte alta) e goccioline sopraffuse, che sono più abbondanti nella zona intermedia: la concentrazione di vapor d'acqua in equilibrio con le goccioline sopraffuse è maggiore di quella in equilibrio con i cristalli di ghiaccio, per cui le molecole del vapor d'acqua si depositeranno sul cristallo di ghiaccio mediante sublimazione, mentre le goccioline presenti evaporeranno per cercare di ristabilire l'equilibrio: ciò avviene nella parte alta della nube.
Una volta ingrossatosi il cristallo cade all'interno della nube più velocemente delle goccioline sopraffuse e nel suo percorso discendente le catturerà provocandone l'istantaneo ghiacciamento al contatto per cui l'adesione di goccioline sopraffuse sul chicco (o embrione) comincerà solamente quando questo scende nella parte intermedia della nube dove la concentrazione di goccioline è massima. A questo punto un nuovo meccanismo entra a far parte della fase di crescita: quando le goccioline sopraffuse si attaccano al cristallo cedono ad esso una parte del calore latente di solidificazione; infatti nel passaggio da acqua a ghiaccio si libera calore. L'embrione perciò si riscalda e può arrivare a temperature prossima a 0°C, mentre nell'ambiente circostante essa è fortemente negativa (-15°C/-20°C); questa è la crescita secca. Poichè ora l'embrione di ghiaccio ha temperatura prossima a 0°C, le goccioline sopraffuse ghiacciano parzialmente e una certa quantità d'acqua viene reimmessa nell'ambiente: è la crescita bagnata.
Le fortissime correnti ascendenti (updraft) anche oltre i 100km/h, e discendenti (downdraft) proprie del Cb fanno sì che l'embrione compia molte salite e discese all'interno della nube: tale fenomeno assume particolare rilevanza nel caso in cui il temporale assuma una struttura ad asse obliquo per la presenza di forti venti in quota, magari associati ad una corrente a getto o a situazioni frontali. Cumulonembi ad asse obliquo che superino i 9-10.000 m di altezza sono una garanzia di forti grandinate, anche se grandine di piccole-medie dimensioni può cadere anche da Cb ad asse verticale purchè salgano a quote interessanti. I piccoli chicchi di grandine che si sono formati nella parte medio-alta della nube verranno trasportati molto avanti dai forti venti andando ad accumularsi nella parte anteriore del sistema; una volta che essi saranno divenuti sufficientemente pesanti cominceranno per gravità a scendere verso il basso, ma così facendo entreranno nella zona in cui le correnti ascendenti sono molto forti.
Infatti nella normale cella temporalesca (non supercella) abbiamo la corrente ascensionale davanti ad essa rispetto alla propria traiettoria con aria calda (updraft) che risale verso l'interno della cella stessa, mentre la corrente discendente (downdraft) è nella parte centrale e posteriore della cella, associata alle intense precipitazioni. Ebbene i chicchi saranno riportati dalla corrente ascendente verso la parte medio-alta della nube e, spinti nuovamente avanti dalle forti correnti in quota, cominceranno a ricadere fin sotto la linea di congelamento dell’acqua, venendo ripresi dalla corrente ascensionale e così via. Se le condizioni favorevoli sussistono (cella ad asse obliquo con intensi moti verticali indotti dal notevole gradiente termico verticale(windshear positivo) i chicchi possono compiere diversi cicli come quello prima descritto, ingrossandosi a più riprese per la cattura di goccioline sopraffuse. 
Questi processi evolutivi determinano una struttura sezionale a "cipolla" a strati con ghiaccio opaco (bianco, anche perchè vengono conglobate molecole d'aria nella rapida solidificazione) in crescita secca e ghiaccio trasparente in crescita bagnata (perchè il ghiacciamento è più lento a causa del calore latente, quindi la gocciolina permane liquida per qualche tempo): ogni strato rappresenta un nuovo viaggio verso la parte alta della nube. Generalmente (ma non è una regola) più bassa è la temperatura dell'aria alle varie quote più il chicco è bianco e non lucido, come invece avviene quando le temperature sono più elevate (soprattutto alle quote medie): questo dipende dal fatto che il chicco in fase di accrescimento viene rifornito maggiormente di cristalli di ghiaccio (che, come detto, lo rendono bianco ed opaco) quando l'aria è più fredda, mentre in condizioni di temperature maggiori prevale l'accrescimento causato da acqua sopraffusa che lo rende lucido e trasparente. La permanenza dei chicchi in seno al Cb varia da 30 a 45 minuti (e anche più) e gli updrafts possono superare abbondantemente i 100 km/h: in tal caso saranno possibili chicchi aventi un diametro superiore a 5-6 cm.

Chicchi di grandine di 4 cm di diametro con evidente struttura a "cipolla" Foto (28 giugno 2002)
Naturalmente più intense saranno le correnti ascendenti maggiori saranno le dimensioni che i chicchi potranno raggiungere: l'intensità degli updrafts può essere desunta dalla quota che raggiunge la sommità della nube temporalesca. Cumulonembi che raggiungono la tropopausa sono potenzialmente molto pericolosi: occhio alle overshooting top! Chicchi dotati di lobi o punte indicano forti updrafts contenenti molte goccioline sopraffuse: esse, a causa dell'elevata velocità di ascesa, non fanno in tempo ad unirsi per formare gocce più grosse e quindi si depositeranno sui lobi, ingrandendoli.

Grossi chicchi con numerose protuberanze ai bordi indice di fortissimi updrafts Courtesy Gene Moore www.chaseday.com
L'unico fattore che può interrompere il processo di "sali-scendi" è determinato dal fatto che i chicchi di grandine divengano talmente pesanti da non poter essere più riportati in alta quota dalla corrente ascensionale, con inevitabile caduta al suolo. I chicchi in caduta vengono radunati e si organizzano lungo fasce che seguono i massimi di intensità dei downdrafts che accompagnano la precipitazione. Siccome l'intensità dei downdrafts non è regolare ma pulsante (raffiche), la maggior quantità di chicchi seguirà le più intense raffiche di vento, colpendo fasce relativamente ristrette ed irregolarmente distribuite. Accade la stessa cosa per la pioggia: durante i temporali si hanno diversi apporti pluviometrici in aree anche vicinissime tra di loro.
Poichè correnti ascendenti fortissime presuppongono correnti discendenti altrettanto forti nell'area delle precipitazioni (dinamica + gravità), l'insorgere di violente raffiche di vento all'arrivo del temporale (outflow) è di cattivo auspicio ed è probabile il verificarsi della grandine, specie nella prima fase delle precipitazioni perchè i chicchi sono più pesanti e cadono per primi. Invece la comparsa di grandine nella parte posteriore del temporale è dovuta al fatto che mentre esso transitava sopra di noi non era ancora nello stadio di massima intensità, che verrà raggiunto poco dopo: tuttavia i downdrafts che lo caratterizzano, divergendo nei bassi strati, possono portare raffiche di grandine anche dove il corpo principale della cella è già transitato, e cioè nella parte posteriore. 
Oppure può essersi formata una nuova e molto intensa giovane cella nelle immediate adiacenze della principale con caduta di grandine. La direzione del vento al suolo ci dirà quale delle due eventualità si è prospettata: se il vento proverrà da direzione opposta rispetto al moto del temporale (outflow della cella ormai matura) ci troveremo di fronte ad intensificazione della cella appena passata; se invece il vento proviene all'incirca dalla stessa direzione di moto della cella transitata (inflow della nuova cella) allora con ogni probabilità si sarà formata una nuova ed intensa cella.
In ultima analisi, la comparsa di torri cumuliformi sulla parte posteriore del temporale indica chiaramente la tendenza a "figliazione" di nuove celle dietro allo stesso per sollevamento di aria più calda determinata dai downdrafts in discesa dalla nube che dilagano verso l'esterno (outflow-gust front). La figliazione di nuove celle può produrre sistemi praticamente "attaccati" alla cella principale, dando l'impressione di rinvigorimento del temporale stesso; del resto col termine "temporale" non si indica necessariamente un Cb solo ma anche la presenza di sistemi multicellari su una determinata area geografica.

GRANDINE NOTTURNA

La grandine è certamente più rara di notte, sebbene sia più esatto dire che lo è nella seconda parte della notte, verso l'alba e le prime ore del mattino. Una ricerca compiuta nella bassa pianura ravennate dal 1970 ad oggi ha dimostrato che la fascia oraria meno a rischio è quella che va dalle 04,00 alle 8,00, mentre le più a rischio sono quella dalle 16,00 alle 19,00 con un secondo picco dalle 22,00 alle 00,00. Alla base di tutto ciò vi è certamente il fatto che nella fascia oraria 04,00-08,00 si hanno normalmente i più bassi valori termici giornalieri che ovviamente si traducono in un minore gradiente termico verticale. Nella prima parte della notte però le temperature possono essere ancora alquanto alte con tassi igrometrici generalmente elevati: in tal caso la formazione di celle grandinigene può avvenire tranquillamente, specie se ad innesco frontale.
Inoltre mentre nel pomeriggio i temporali grandinigeni provengono generalmente dai quadranti occidentali o nordoccidentali, di notte hanno di solito provenienza nordorientale (fronti freddi o dry-lines che interessando i Balcani "strisciano" sull'Adriatico). I temporali che di notte si formano in mare sono spesso grandinigeni: alte percentuali di sale marino che costituiscono la massa d'aria in ascesa sono ottimi nucleatori di embrioni di grandine e se le correnti guida sono nordorientali tali celle possono interessare l'entroterra con eventi talvolta molto vistosi. Quindi si è più al sicuro nella seconda parte della notte ed intorno all'alba; molto meno nella prima parte.
DIFESA CONTRO LA GRANDINE
I danni potenziali che una grandinata può causare sono proporzionati a questi 5 fattori:
  1. dimensione del chicco
  2. velocità di caduta del chicco
  3. durezza del chicco
  4. forma del chicco
  5. orientamento della traiettoria di caduta del chicco
Ad esempio, è possibile che chicchi di grandine molto grossi causino danni minori se questi sono inseriti in forti correnti contrarie rispetto ad altri chicchi più piccoli inseriti in correnti "favorevoli" o in un vento tornadico. Esiste la scala Torro per quantificare i danni cagionati dalla grandine, e fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K). L'intensità di una grandinata si riferisce al danno maggiore che essa ha causato; se i danni non possono essere quantificati (come per la campagna), l'intensità verrà relazionata alla grandezza del chicco e non più al danno potenziale che poteva causare.  
La grandine è un fenomeno assai variabile nel tempo e nello spazio ed attualmente esistono tre mezzi per combattere questo dannoso fenomeno meteorologico:
  1. frantumazione del chicco mediante onde sonore prodotte al suolo (cannoni detonanti)
  2. frantumazione del chicco mediante onde sonore prodotte dentro la nube (razzo esplodente)
  3. inseminazione artificiale delle nubi con particelle microscopiche (ioduro d'argento)

I cannoni detonanti, che sono quelli di cui si parla e che ancora oggi si vedono in alcune aree, creano onde sonore mediante un emettitore di scoppi a ripetizione ed a salve. Le onde in propagazione da terra verso l'alto (fino a poche centinaia di metri) dovrebbero alterare i processi che portano alla formazione dei chicchi ed alla loro caduta, questo secondo le case costruttrici: peccato che i processi dinamici che danno il via al fenomeno grandine partano dalla parte superiore della nube con la nucleazione di cristalli di ghiaccio da parte dei germi cristallini. Si pensi inoltre che l'onda di pressione generata dall'esplosione del cannone è valutabile in circa 3-4 millibar a 50 metri dal cannone stesso, a 1,5 mb a 100 m, a 0,13 mb a 1000 m, ed a 0,033 mb a 4000 m (nemmeno uno schiocco di dita). Sono pressioni che si rivelano assolutamente insufficienti sia per influenzare la dinamica del cumulonembo sia per causare effetto cavitazione (ovvero una specie di microperforazione del nucleo centrale del chicco in grado di facilitarne una rottura anticipata durante la caduta al suolo mediante "spaccatura" per mancata coesione tra le pareti delle pellicole a crescita secca e crescita bagnata), quindi l'inefficacia è assoluta tenuto conto dell'immane energia che si sviluppa in cumulonembi grandinigeni. I cannoni anti-grandine sono uno dei tanti mezzi studiati per combattere questa dannoso fenomeno meteorologico.
Il presunto principio di funzionamento consiste : nella frantumazione del chicco di grandine mediante onde d'urto acustiche prodotte al suolo nella frantumazione del chicco di grandine mediante onde d'urto acustiche prodotte dall'esplosione di un razzo inviato nella nube dall'inseminazione della nube con particelle microscopiche liberate dall'esplosione ad alta quota di un razzo . L'epopea dei cannoni antigrandine ha ormai più di un secolo. Fu Albert Stiger, sindaco della città austriaca di Windisch-Feistritz, noto viticultore che nel 1896 concepì un primo cannone antigrandine la cui base di funzionamento secondo alcune fonti, era di tipo acustico (BATTAN, 1969), secondo altre producevano denso fumo le cui particelle avrebbero dovuto fluire nella nube fornendo nuclei di condensazione supplementari per nutrire la "competizione benefica" aumentando la dispersione delle gocce (AMS, 1981). Questo secondo principio è l'unico oggi ritenuto scientificamente sensato, ma la dispersione dell'aerosol nucleante (di solito ioduro d'argento) può dare effetti solo se avviene con mezzi aerei all'interno o al di sopra della nube in opportuni momenti critici della formazione dei primi cristalli di ghiaccio. Tornando a Stiger nell'estate del 1896 egli mise in servizio sei cannoni e quell'anno non venne grandine... Sull'onda dell'entusiasmo l'anno successivo altri trenta cannoni furono installati nelle vicinanze, e anche quell'anno non ci fu grandine. Nel 1899 già duemila cannoni antigrandine tuonavano nel nord Italia; e giunsero a settemila installazioni nel 1900; il cannone "Stiger" cominciò a diffondersi anche in Russia, Spagna, America ed Australia. Ma pochi anni dopo i risultati cominciarono ad essere contraddittori: in alcune località equipaggiate di cannoni si registrò meno grandine, in altre di più. La spiegazione fu prontamente trovata attribuendo i risultati negativi a un insufficiente o maldestro uso dei cannoni. Nel 1902 il governo austriaco ancora non era convinto dell'efficacia del metodo, inoltre era preoccupato dell'elevato numero di incidenti causati dai cannoni: nella sola campagna del 1900, per esempio, vi furono undici morti e sessanta feriti. Nel 1902 a Graz una conferenza internazionale fu così chiamata a valutare la funzionalità di questo approccio di difesa attiva contro la grandine, e concluse che il metodo non poteva essere ritenuto valido se non a fronte di una verifica statisticamente probante. Furono scelte due aree test, una in Austria (Windisch-Feistritz) e l'altra in Italia (Castel-Veneto), e dopo due anni di attività l'inefficacia dei cannoni nel prevenire la grandine fu definitivamente dimostrata dall'occorrenza di alcune tempeste distruttive su entrambe le aree. Esiste un'ampia letteratura scientifica, in particolare gli esperimenti italo-russo-elvetici degli anni 70-80 (campagna GROSSVERSUCH IV), che ha dimostrato l'inutilità (o quanto meno, l'impossibilità di dimostrare l'efficacia) dei metodi di difesa attiva contro la grandine non avio-trasportati. Il 10 luglio 1990 un piccolo comune dell'Astigiano aveva un centinaio di milioni in eccedenza sul bilancio comunale. I contadini chiesero di impiegare queste risorse finanziarie per installare una rete di cannoni antigrandine. Il dispositivo fu illustrato al pubblico, (furono usati per la prima volta attorno al 1905) la sala era gremita, parlando di cumulonembi, di calore di condensazione, di energia liberata e di come più del botto facesse una buona assicurazione antigrandine e magari un buon studio climatologico della distribuzione e frequenza della grandine finanziato da una piccola percentuale di quei fondi. A tutt'oggi sono ancora molte le località, dalle Langhe alla bassa Val d'Aosta alla Padania, dove si impiegano cannoni antigrandine "fai da te", ma ancora si ignora una banale informazione: quante sono e dove colpiscono le grandinate.
I razzi esplodenti esplodono a circa 2000-2500 m di quota; le onde d'urto prodotte dovrebbero teoricamente determinare uno sfaldamento dei chicchi prima del loro impatto sulle colture tramite il fenomeno della cavitazione. Ebbene esperimenti condotti da enti autorevoli tra i quali l'UCEA hanno dimostrato l'assoluta inefficacia del sistema per due ordini di motivi: la quota di 2000-2500 m è troppo bassa in rapporto alla zona con contenuto massimo di chicchi (tra 4500 e 6000 m ma in rapporto all'altezza della tropopausa; in primavera ed in tarda estate-autunno la quota si abbassa). Ovviamente nel corso della caduta i chicchi andranno ad occupare anche zone più basse della nube, ma sarà già troppo tardi per intervenire per la elevatissima velocità di caduta (gravità + downdraft). Inoltre la pressione esercitata dalla detonazione è apparsa insufficiente a determinare il fenomeno della cavitazione, se non in un numero di chicchi assolutamente irrisorio.
L'unica strada percorribile poteva essere quella della nucleazione artificiale con ioduro d'argento che ha un elevato effetto "soluto", in modo da ripartire il collidere delle goccioline sopraffuse o sottoraffreddate (liquide in ambiente sottozero) su un numero di cristalli di ghiaccio superiore a quello naturale (lo ioduro d'argento è ottimo nucleatore di germi cristallini), con formazione di chicchi in numero molto elevato e di piccole dimensioni che poi fonderebbero nella caduta al suolo. Anche questo tentativo però ha dato risultati appena palpabili su celle di moderata estensione ed intensità e nulli su celle grandinigene ad innesco supercellulare (esperimento denominato "Grossversuch IV" con la collaborazione di molti enti europei). Rimangono quindi le reti antigrandine (con costi ad ettaro molto elevati) o le assicurazioni, ma che comunque coprono almeno una piccola parte del rischio.

Misurazione dei danni da grandine – Scala Torro
La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K) in riferimento alle categorie di danni causati dalle tempeste di grandine. I danni potenziali che la tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco e alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione e alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l’orientamento della traiettoria di caduta. L’intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un’area costruita. L’intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l’intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. In conclusione, è possibile dire che se c’è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. È possibile infatti che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perché inseriti in seno a forti correnti contrarie.La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.   La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

 L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
 La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

 La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.

Scala Torro - Tabella inversa La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.

Scala Torro - Tabella inversa La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.
Scala Torro - Tabella inversa
Scala Torro - Tabella
Scala TORRO
Descrizione dei danni
Size code range
H0
Nessun danno
1
H1
Cadono le foglie ed i petali vengono asportati dai fiori
1 - 3
H2
Foglie strappate, frutta e verdura in genere graffiata o con piccoli fori
1 - 4
H3
Alcuni segni sui vetri delle case, lampioni danneggiati, il legno degli alberi inciso. Vernice dei bordi delle finestre graffiata, piccoli segni sulla carrozzeria delle auto e piccoli buchi sulle tegole più leggere
2 - 5
H4
Vetri rotti (case e veicoli) pezzi di tegole cadute, vernice asportata dai muri e dai veicoli, carrozzeria leggera visibilmente danneggiata, piccoli rami tagliati, piccoli uccelli uccisi, suolo segnato
3 – 6
H5
Tetti danneggiati, tegole rotte, finestre divelte, lastre di vetro rotte, carrozzeria visibilmente danneggiata, lo stesso per la carrozzeria di aerei leggeri. Ferite mortali a piccoli animali. Danni ingenti ai tronchi degli alberi ed ai lavori in legno.
4 – 7
H6
Molti tetti danneggiati, tegole rotte, mattonelle non di cemento seriamente danneggiate. Metalli leggeri scalfiti o bucati, mattoni di pietra dura leggermente incisi ed infissi di finestre di legno divelte
5 – 8

H7
Tutti i tipi di tetti, eccetto quelli in cemento, divelti o danneggiati. Coperture in metallo segnate come anche mattoni e pietre murali. Infissi divelti, carrozzerie di automobili e di aerei leggeri irreparabilmente danneggiate
6 – 9
H8
Mattoni di cemento anche spaccati. Lastre di metallo irreparabilmente danneggiate. Pavimenti segnati. Aerei commerciali seriamente danneggiati. Piccoli alberi abbattuti. Rischio di seri danni alle persone
7 – 10
H9
Muri di cemento segnati. Tegole di cemento rotte. Le mura di legno delle case bucate. Grandi alberi spezzati e ferite mortali alle persone
8 – 10
 H10
Case di legno distrutte. Case di mattoni seriamente danneggiate ed ancora ferite mortali per le persone
9 – 10
Size Code
Diametro
Riferimento
Intensità
1
5 – 10 mm
Piselli
H0 – H2
2
11 – 15 mm
Fagioli, nocciole
H0 – H3
3
16 – 20 mm
Piccoli acini d’uva, ciliegie e piccole biglie
H1 – H4
4
21 – 30 mm
Grossi acini d’uva, grosse biglie e noci
H2 – H5
5
31 – 45 mm
Castagne, piccole uova, palla da golf, palla da ping-pong, a da squash
H3 – H6
6
46 – 60 mm
Uova di gallina, piccole pesche, piccole mele e palle da biliardo
H4 – H7
7
61 – 80 mm
Grosse pesche, grosse mele, uova di struzzo, piccole e medie arance, palle da tennis, da cricket e da baseball
H5 – H8
8
81 – 100 mm
Grosse arance, pompelmi e palle da softball
H6 – H9
9
101 – 125 mm
Meloni
  H7 – H10
10
Sopra i 125 mm
Noci di cocco e simili
  H8 – H10


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Scala Torro - Tabella inversa


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La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.

Scala Torro - Tabella inversa La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.





























Un flagello per l'agricoltura
La grandine è una meteora molto meno frequente dopo pioggia e neve. Si tratta di una precipitazione costituta da chicchi di ghiaccio che possono raggiungere forma e dimensione tra le più svariate. In Italia le grandinate medie, hanno una dimensione che varia da 5 a 10 mm, con diversi casi ogni anno, di chicchi possono essere maggiori e raggiungere le dimensioni tra la 4 e la 6 della scala TORRO. Come per le trombe d'aria, esiste una scala di riferimento riferita, in questo caso, alle dimensioni dei chicchi, non ai danni che provoca.
Danni per il vigneto
Dopo una grandinata bisogna intervenire tenendo presente l’epoca della grandinata, la gravità del danno, vitigno e condizioni climatiche. Gli effetti della grandinata sulla vite sono diversi a seconda dello sviluppo di vegetazione e grappoli.
Le grandinate precocissime (germ.-metà maggio) colpiscono i germogli di pochi cm, e a seconda dell’entità della grandinata, esso viene staccato dal tralcio. Si avrà una riduzione della produzione dell’annata. Partiranno le gemme di controcchio (fertilità dipende dal vitigno) che saranno in grado di differenziare gemme fertili per l’anno seguente.
Le grandinate precoci (prefioritura-fioritura-fino a metà giugno) durante questa fase la grandine può provocare danni molto gravi perché la produzione d’annata è esposta ai colpi e i tralci possono essere lesionati e troncati. In questo periodo vanno differenziandosi le gemme ibernanti che produrranno il prossimo anno. È quindi una fase molto delicata per le alterazioni del metabolismo della vite conseguenza di una forte riduzione della superficie fogliare. Nel caso di danno prossimo al 100% può rendersi utile una potatura delle parti lesionate per favorire di nuovi germogli che limiteranno l’impatto della grandinata sulla prossima annata.
Le grandinate estive (allegagione-invaiatura) in questo periodo una grandinata influisce in modo diretto sulla produzione. La ripresa del vigneto dipende da quanta vegetazione è rimasta e in grado di assicurare una ripresa vegetativa, dall’andamento stagionale. In caso di grandinate estive non gravi il rischio di attacchi di marciume bianco agli acini.
Grandine a tardive (a maturazione) brevi grandinate possono dar luogo all’insorgere di gravi attacchi botritici. Il sistema di allevamento a controspalliera, pergola e tendone offrono un po’ di riparo nel caso di piccole grandinate.     
Dopo una grandinata di medio-grave entità bisogna intervenire con prodotti fitosanitari di disinfettati(Sali di rame) e prodotti cicatrizzanti(folpet). Nelle parti lesionate possono entrare nella pianta agenti della muffa grigia(Botrytis Cirenea), marciume bianco(Coniella) e la rogna(Agrobacterium Tumefaciens) anche se i danni peggiori si hanno da oidio e peronospora se la nuova vegetazione che si formerà non è adeguatamente protetta.
Il Grelimetro
Il grelimetro e' costituito da un pannello quadrato di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio dello spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte. La rete dellISTITUTO AGROMETEOROLOGICO DI SAN MICHELE ALL'ADIGE espone i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo dell'anno di maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle colture orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine di ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo. Le altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione, con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua durata, l'area di sua conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime dei chicchi

Il grelimetro


LO STRUMENTO

Il grelimetro e' costituito da un pannello quadrato di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio dello spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte.
http://www.meteograndine.com/public/images/grelimetro.jpg

RACCOLTA DEI DATI

La rete dell’ISTITUO AGROMETEOROLOGICO DI SAN MICHELE ALL'ADIGE espone i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo dell'anno di maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle colture orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine di ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo. Le altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione, con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua durata, l'area di sua conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime dei chicchi
http://www.meteograndine.com/public/images/grelimetro%202.jpg

Il grelimetro


LO STRUMENTO

Il grelimetro e' costituito da un pannello quadrato di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio dello spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte.
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RACCOLTA DEI DATI

La rete dell’ISTITUO AGROMETEOROLOGICO DI SAN MICHELE ALL'ADIGE espone i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo dell'anno di maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle colture orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine di ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo. Le altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione, con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua durata, l'area di sua conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime dei chicchi
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TEMPORALI DAL LAGO DI GARDA

Il lago di Garda rappresenta un notevole serbatoio di aria molto umida arricchitasi di vapore acqueo nello stazionarvi sopra ed intrappolata in un contesto di aria molto calda circostante (la terraferma) tale da conferire alle celle temporalesche in formazione (siano esse di origine orografica o frontale) un notevole quantitativo di energia. Ne deriva che l'aria in salita durante la convezione può avere un dew point (temperatura di rugiada) di partenza relativamente basso, ma che si innalza notevolmente allorchè comincia a venire pescata aria dal lago per umidificazione indotta. In tal modo, sebbene il gradiente termico verticale possa anche scendere di qualche punto per via dell'acqua più fredda della terraferma, aumenterà sensibilmente quello igrometrico (aria ugualmente fredda e secca in quota, ma più umida nei bassi strati) in grado di far salire per esempio l'indice di umidità (dew point).
Succede più o meno la stessa cosa quando sistemi temporaleschi provenienti dal basso Veneto passano sopra le Valli di Comacchio: la notevole quantità di aria umida disponibile ringiovanisce ed intensifica i sistemi stessi che poi sovente provocano notevoli danni nel ravennate settentrionale. Anche il fiume è in grado di intensificare gli effetti delle celle temporalesche (sebbene localmente) per apporto di aria molto umida dal basso; naturalmente ciò vale per corsi d'acqua di una certa estensione (Po, Adige ecc.) e non per i fiumi di piccola portata. Molte linee temporalesche se hanno moto parallelo al corso del fiume (nel caso del Po W-E) e vi possano rimanere per tempi sufficientemente lunghi nelle immediate vicinanze trarranno notevole energia dall'aria ivi stazionante.

TEMPORALI NELL'ENTROTERRA
I temporali nell'entroterra dipendono dalla climatologia a scala locale e a volte capita che prima di raggiungere il mare si indeboliscano col calare della sera o perchè in fase di collasso non arrivando così al litorale: ciò non dovrebbe succedere coi temporali ad innesco frontale i quali si possono formare a qualunque ora del giorno. L'unico aspetto che può influire sul fenomeno è che essendo la terraferma di giorno sensibilmente più calda del mare sarà lì che si formeranno di preferenza le celle, magari favorite dalla presenza di rilievi orografici: quindi, più che non arrivare, i temporali non si formano a distanze sufficientemente brevi da poter raggiungere la costa (a parte i fenomeni frontali), specie se, come capita sovente in assenza di linee frontali, le correnti in quota non sono sufficientemente intense.
Va detto anche che l'alimentazione d’aria calda dal basso è minore non solo sul mare, ma già a 5-10 km in linea d'aria dalla costa per cui lo sviluppo delle celle ne risente: non si formano nuove celle e sul mare possono arrivare solamente le vecchie di origine interna e capita che collassino prima di giungervi. Le influenze della brezza di mare sono alquanto limitate in tal senso, poichè le celle sono guidate dai venti nella medio-alta troposfera (level-guide intorno 6000 m di altezza) e, di certo, una debole brezza marina non può controvertire l'azione dei venti in quota che guidano i temporali. Infatti il flusso derivato dalla brezza è di piccolo spessore, esaurendosi già intorno a 1000 m di quota e arriva al massimo fino a 30 km di distanza dalla costa.
Casomai, per l'Adriatico, azione contrastante può derivare dall'ingresso da E o NE di venti secchi di origine continentale che hanno scarsa capacità igrometrica togliendo alimentazione al potenziale sviluppo delle celle e confinando effettivamente i temporali all'interno. Naturalmente tali venti svolgono questa azione solo dopo che in precedenza hanno invece innescato temporali frontali come i colpi di bora associati a fronti freddi dai quadranti settentrionali. Del resto è vero che il mare favorisce l'attività temporalesca notturna, ma solo per i sistemi che si sviluppano sopra le acque. E' altrettanto vero che l'aria umida generata dall'Adriatico, se portata da venti orientali al suolo, alimenta ed innesca attività temporalesca nell'entroterra anche nelle ore pomeridiane: poi se le correnti in quota sono occidentali vedremo i temporali provenire da W, ma l'alimentazione sottostante può anche essere di matrice orientale e quindi marittima. I temporali notturni che genera il mar Adriatico provengono quasi sempre da NNE-NE-ENE-E, ovvero quando le correnti in quota provengono da quelle direzioni ed il loro innesco primario avviene sopra le acque che in quel momento sono più calde dell'entroterra.

 TEMPORALI NOTTURNI

I temporali notturni nascono nella maggior parte dei casi grazie alle correnti fredde che di notte scendono dalle valli alpine in Valpadana (mini fronte freddo): queste correnti sono rese fredde dall'irraggiamento notturno oppure dai temporali eventuali avvenuti nella sera sulle Alpi. Infatti verso sera i Cb che si sviluppano per cause orografiche sui rilievi alpini tendono ad indebolirsi e quindi a dissolversi; l'evaporazione dei cristalli di ghiaccio (incudine) e delle goccioline di nube (parte centrale) determina una diminuzione della temperatura alle relative quote cui sono poste le frange di tali nubi. Ne consegue che l'aria a quelle quote si raffredda: una parte di essa rimane in quota, sostenuta da eventuali correnti sinottiche presenti, mentre un'altra parte tende a scendere per gravità (la frazione più secca) verso i pendii e verso il suolo. Inoltre la sommità delle nubi cumuliformi in una determinata area (chiostra alpina) determina proprio per irraggiamento (le incudini funzionano da superficie radiante restituendo calore verso lo spazio) un calo termico superiore rispetto alle zone serene: è la stessa cosa che accade al suolo di notte.
Ci saranno quindi nuclei di aria più fredda in quota che di notte possono portarsi, se mosse da venti in quota favorevoli, in direzione della pianura pedealpina e padana settentrionale, dove al suolo agiranno i microfronti freddi in grado di determinare sollevamento termodinamico: aria più fredda anche in quota favorirà ulteriormente i moti verticali, con formazioni di nubi temporalesche notturne. L'intuizione la ebbe per primo (o tra i primi) il grande Giorgio Fea (uno dei padri della meteorologia italiana) cercando di capire come mai si formavano temporali notturni sulla pianura pedealpina anche in assenza di significativi passaggi frontali e, quasi di sicuro, centrò il bersaglio al primo colpo.
Se poi il temporale notturno è violento, allora significa che ha potuto usufruire di due favorevoli circostanze:
1) aria molto instabile: più l'aria è instabile più l'iniziale sollevamento dato dal cuneo di aria fredda disceso dalle valli si trasformerà in violenti moti ascensionali di tipo convettivo. Inoltre quanto più le velocità ascensionali sono elevate tanto maggiore sarà la quantità di vapore condensata nell'unità di tempo e quindi tanto maggiore sarà il calore latente immesso nella massa d'aria in ascesa, il cui moto verticale diviene così esplosivo. La forte instabilità serale o notturna può a sua volta essere la conseguenza della presenza di uno strato quasi adiabatico (in cui la temperatura con la quota può diminuire anche di 10°C/km invece dei classici 6,5°C/km) tra l'inversione notturna al suolo e i primi 1000 metri, come conseguenza di un forte soleggiamento diurno. All'instabilità può contribuire talvolta anche l'arrivo di aria più fresca in quota dal nord delle Alpi.
2) aria molto umida: stagnante in Valpadana, in quanto essa è necessaria perchè la nube temporalesca possa crescere fino a notevoli altezze (12-14 km). Più la nube è alta, più sarà violenta (in vento, pioggia e grandine) perchè significa che gli updrafts sono così intensi che si sono spinti fino a tali quote facendo ingrossare oltre misura sia le gocce di pioggia sia cristalli di ghiaccio (che poi diventano grandine) nelle ripetute salite e discese dentro la nube. I temporali notturni sono meno comuni di quelli giornalieri e gli indizi più importanti di cui disponiamo sono la progressione delle precipitazioni e i venti: essi serviranno per capire come si muove l'updraft principale. Un buon aiuto può giungere anche da una successione di fulmini che permetteranno di capire il movimento delle nubi sotto la base del Cb. Ad esempio, ogni lampo potrebbe far vedere i fractus in differenti posizioni: rammentandone le precedenti, si può ricostruire il movimento generale di questi fractus che magari stanno ruotando attorno ad una wall cloud. Un'estesa base dell'updraft sarà tradita dai lampi come una regione scura; se poi c'è un lowering questo non si farà attraversare dalla luce. Invece i fulmini non permettono di distinguere con sufficiente chiarezza una wall cloud o lowering dalle bande di precipitazione: ipotizzando che sia giorno, ricordatevi che le rain curtain arrivano fino a terra, invece la wall cloud non tocca terra (eccetto se sviluppa un tornado); veloci e frequenti fulmini individuano il nucleo o il settore di una nuova cella in fase di sviluppo. Come per le ore di luce, se un vento da SE diventa calmo significa che ci troviamo sotto l'updraft; se inizia un vento da W-NW ci troviamo nell'outflow (nessun pericolo). Un forte vento che inizia poco prima delle precipitazioni costituisce solitamente una minaccia temporanea, poi il tutto si calma se non siamo in presenza di una supercella che potrebbe rivelarsi poco più tardi con una wall cloud.

Conclusioni:
Il problema della grandine è un problema molto serio che provoca danni soprattutto in agricoltura mettendo a rischio il reddito di un’intera annata e qualche volta anche della seconda soprattutto sulle colture perenni. Se la coltura si trova in una zona a rischio certificata dall’esperienza o tramite il grelimetro è necessario, a seconda della gravità delle grandinate, proteggere la propria coltura con gli unici mezzi efficaci Reti Antigrandine o Polizza Assicurativa. Se le grandinate sono molto forti conviene la rete antigrandine che protegge la pianta perenne sia dalla caduta del chicco di grandine sia dalla successiva entrata, attraverso le lesioni create ai rami e al fusto, di possibili infezioni che compromettano in seguito la vita della pianta.

MARCO MEROTTO - WWW.PROSECCOSTYLE.EU

Bibliografia

BATTAN L.J. - 1969 - Harvesting the clouds. Doubleday & C., New York, P.17.
AMS-American Meteorological Society Bullettin, March 1981-"History repeated: the forgotten hail cannons of Europe"
RIVISTA DI METEOROLOGIA, CLIMA E GHIACCIAI www.nimbus.it


La scala Torro


La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.  
I danni potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.

L'intensità di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su un'area costruita.

L'intensità di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).

Se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè H5.
In conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.

Nella tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.

La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.
Scala Torro - Tabella inversa

Parte didattica tratta da fenomenitemporaleschi.itSei in: Home  >  Tutto sulla grandine  >  La scala Torro