GRANDINE E ANTIGRANDINE
LA
GRANDINE
La grandine
è un fenomeno associato ai temporali che può variare nel tempo e nello
spazio. La cella temporalesca in cui si forma la grandine è una struttura
meteorologica bizzarra e difficilmente prevedibile per la quale non è
possibile dire a priori se, dove e quando grandinerà, ma solo ipotizzare
l'esistenza di condizioni favorevoli al verificarsi del fenomeno. La previsione
a brevissima scadenza (1-4 ore), detta nowcasting, è in grado di fornirci
qualche informazione in più grazie alle immagini dei radar meteo, che tuttavia,
consentono una previsione dell'ordine di poche decine di minuti (cristalli di
ghiaccio nella sommità della nube già in formazione per essere scoperti dagli
echi radar), e quindi difficilmente utilizzabile a fini pratici
(problemi nella diffusione rapida delle informazioni e impossibilità di attuare
eventuali contromisure in tempo utile). Pertanto non ci sono modelli matematici
in grado di fornire una previsione mirata per la grandine e dai quotidiani
o dai vari bollettini presenti in internet si può solo essere attenti alle
situazioni propizie ad elevata attività temporalesca, nelle quali la
probabilità di formazione di grandine è la maggiore. Diversa la previsione
statistica dell'incidenza del fenomeno a scala geografica (frequenza e
intensità), teoricamente fattibile, in pratica non applicabile. Le osservazioni
della grandine risultano infatti generalmente frammentarie, irregolari e
incomplete. Solo poche regioni, come l'Emilia Romagna, il Friuli e Trentino, da
qualche anno si sono dotate di reti di "hailpads", pannelli di
poliuretano che colpiti dalla grandine consentono una misura quantitativa del
fenomeno (numero e dimensioni dei chicchi). Insomma, si spendono un sacco di
soldi per pagare i danni, per attrezzare le colture con metodi di difesa
passiva e in qualche caso addirittura attiva (cannoni e simili - ormai
palesemente rifiutati dalla scienza ufficiale come del tutto inefficaci), e non
si investe una modesta parte di queste risorse nell'attività più utile e
facilmente attuabile: l'osservazione e la conoscenza di base del fenomeno
grandinigeno con un programma omogeneo su base nazionale.
Dinamica della grandine
La grandine si forma solo nel
cumulonembo ad incudine (Cb
capillatus incus), nube temporalesca in cui una gran quantità di
acqua liquida si trova a temperature negative: si tratta di goccioline sopraffuse (liquide pur in
ambiente sottozero) poichè soltanto a meno -40°C il ghiacciamento avviene in
ogni caso. Inoltre particelle come il sale marino o il pulviscolo atmosferico
sono in grado di dar luogo a cristalli di ghiaccio e che trasportati verso
l'alto dai forti updrafts vanno a costituire la parte superiore della nube:
questi sono gli embrioni sui quali si svilupperà il chicco di grandine. Nel
cumulonembo coesistono quindi cristalli di ghiaccio (parte alta) e goccioline
sopraffuse, che sono più abbondanti nella zona intermedia: la concentrazione di
vapor d'acqua in equilibrio con le goccioline sopraffuse è maggiore di quella in
equilibrio con i cristalli
di ghiaccio, per cui le
molecole del vapor d'acqua si depositeranno sul cristallo di ghiaccio mediante
sublimazione, mentre le goccioline presenti evaporeranno per cercare di
ristabilire l'equilibrio: ciò avviene nella parte alta della nube.
Una volta ingrossatosi il cristallo cade all'interno della nube
più velocemente delle goccioline sopraffuse e nel suo percorso discendente le
catturerà provocandone l'istantaneo ghiacciamento al contatto per cui
l'adesione di goccioline sopraffuse sul chicco (o embrione) comincerà solamente
quando questo scende nella parte intermedia della nube dove la concentrazione
di goccioline è massima. A questo punto un nuovo meccanismo entra a far parte
della fase di crescita: quando le goccioline sopraffuse si attaccano al
cristallo cedono ad esso una parte del calore latente di solidificazione;
infatti nel passaggio da acqua a ghiaccio si libera calore. L'embrione perciò
si riscalda e può arrivare a temperature prossima a 0°C, mentre nell'ambiente
circostante essa è fortemente negativa (-15°C/-20°C); questa è la crescita secca. Poichè ora l'embrione di
ghiaccio ha temperatura prossima a 0°C, le goccioline sopraffuse ghiacciano
parzialmente e una certa quantità d'acqua viene reimmessa nell'ambiente: è la crescita bagnata.
Le fortissime correnti ascendenti
(updraft) anche oltre i 100km/h, e
discendenti (downdraft) proprie
del Cb fanno sì che l'embrione compia molte salite e discese all'interno della
nube: tale fenomeno assume particolare rilevanza nel caso in cui il temporale
assuma una struttura ad asse obliquo per la presenza di forti venti in
quota, magari associati ad una corrente a getto o a situazioni frontali.
Cumulonembi ad asse obliquo che superino i 9-10.000 m di altezza sono una
garanzia di forti grandinate, anche se grandine di piccole-medie dimensioni può
cadere anche da Cb ad asse verticale purchè salgano a quote interessanti. I
piccoli chicchi di grandine che si sono formati nella parte medio-alta della
nube verranno trasportati molto avanti dai forti venti andando ad accumularsi
nella parte anteriore del sistema; una volta che essi saranno divenuti
sufficientemente pesanti cominceranno per gravità a scendere verso il basso, ma
così facendo entreranno nella zona in cui le correnti ascendenti sono molto
forti.
Infatti nella normale cella
temporalesca (non supercella)
abbiamo la corrente ascensionale davanti ad essa rispetto alla propria
traiettoria con aria calda (updraft)
che risale verso l'interno della cella stessa, mentre la corrente discendente (downdraft) è nella parte centrale
e posteriore della cella, associata alle intense precipitazioni. Ebbene i
chicchi saranno riportati dalla corrente ascendente verso la parte medio-alta
della nube e, spinti nuovamente avanti dalle forti correnti in quota,
cominceranno a ricadere fin sotto la linea
di congelamento dell’acqua, venendo ripresi dalla corrente ascensionale e
così via. Se le condizioni favorevoli sussistono (cella ad asse obliquo con
intensi moti verticali indotti dal notevole gradiente termico verticale(windshear
positivo) i chicchi possono compiere diversi cicli come quello prima descritto,
ingrossandosi a più riprese per la cattura di goccioline sopraffuse.
Questi
processi evolutivi determinano una struttura sezionale a "cipolla" a
strati con ghiaccio opaco (bianco, anche perchè
vengono conglobate molecole d'aria nella rapida solidificazione) in crescita secca e ghiaccio
trasparente in crescita bagnata (perchè il ghiacciamento è più lento a causa del calore latente, quindi la gocciolina permane liquida
per qualche tempo): ogni strato rappresenta un nuovo viaggio verso la parte
alta della nube. Generalmente (ma non è una
regola) più bassa è la temperatura dell'aria alle varie quote più
il chicco è bianco e non lucido, come invece avviene quando le temperature sono
più elevate (soprattutto alle quote medie): questo dipende dal fatto che il
chicco in fase di accrescimento viene rifornito maggiormente di cristalli di
ghiaccio (che, come detto, lo rendono bianco ed opaco) quando l'aria è più
fredda, mentre in condizioni di temperature maggiori prevale l'accrescimento
causato da acqua sopraffusa che lo rende lucido e trasparente. La permanenza
dei chicchi in seno al Cb varia da 30 a 45 minuti (e anche più) e gli updrafts
possono superare abbondantemente i 100 km/h: in tal caso saranno possibili
chicchi aventi un diametro superiore a 5-6 cm.
Chicchi di grandine di 4 cm di diametro con
evidente struttura a "cipolla" Foto (28 giugno 2002)
Naturalmente
più intense saranno le correnti ascendenti maggiori saranno le dimensioni che i
chicchi potranno raggiungere: l'intensità degli updrafts può essere desunta
dalla quota che raggiunge la sommità della nube temporalesca. Cumulonembi che
raggiungono la tropopausa sono potenzialmente molto pericolosi: occhio alle
overshooting top! Chicchi dotati di lobi o
punte indicano
forti updrafts contenenti molte goccioline sopraffuse: esse, a causa
dell'elevata velocità di ascesa, non fanno in tempo ad unirsi per formare gocce
più grosse e quindi si depositeranno sui lobi, ingrandendoli.
Grossi chicchi con numerose protuberanze ai bordi
indice di fortissimi updrafts Courtesy
Gene Moore www.chaseday.com
L'unico
fattore che può interrompere il processo di "sali-scendi" è
determinato dal fatto che i chicchi di grandine divengano talmente pesanti da
non poter essere più riportati in alta quota dalla corrente ascensionale, con
inevitabile caduta al suolo. I chicchi in caduta vengono radunati e si
organizzano lungo fasce
che seguono i massimi di intensità dei downdrafts che accompagnano la
precipitazione. Siccome l'intensità dei downdrafts non è regolare ma pulsante
(raffiche), la maggior quantità di chicchi seguirà le più intense raffiche di
vento, colpendo fasce relativamente ristrette ed irregolarmente distribuite.
Accade la stessa cosa per la pioggia: durante i temporali si hanno diversi
apporti pluviometrici in aree anche vicinissime tra di loro.
Poichè correnti ascendenti fortissime presuppongono correnti
discendenti altrettanto forti nell'area delle precipitazioni (dinamica +
gravità), l'insorgere di violente raffiche di vento all'arrivo del temporale
(outflow) è di cattivo auspicio ed è probabile il verificarsi della grandine,
specie nella prima fase delle precipitazioni perchè i chicchi sono più pesanti
e cadono per primi. Invece la comparsa di grandine nella parte posteriore del temporale è dovuta
al fatto che mentre esso transitava sopra di noi non era ancora nello stadio di
massima intensità, che verrà raggiunto poco dopo: tuttavia i downdrafts che lo
caratterizzano, divergendo nei bassi strati, possono portare raffiche di
grandine anche dove il corpo principale della cella è già transitato, e cioè
nella parte posteriore.
Oppure può essersi formata una nuova e molto intensa
giovane cella nelle immediate adiacenze della principale con caduta di
grandine. La direzione del vento al suolo ci dirà quale delle due eventualità
si è prospettata: se il vento proverrà da direzione opposta rispetto al moto
del temporale (outflow della cella ormai matura) ci
troveremo di fronte ad intensificazione della cella appena passata; se invece
il vento proviene all'incirca dalla stessa direzione di moto della cella
transitata (inflow della nuova cella) allora con
ogni probabilità si sarà formata una nuova ed intensa cella.
In ultima analisi, la comparsa di torri cumuliformi sulla parte
posteriore del temporale indica chiaramente la tendenza a
"figliazione" di nuove celle dietro allo stesso per sollevamento di
aria più calda determinata dai downdrafts in discesa dalla nube che dilagano
verso l'esterno (outflow-gust front). La figliazione di nuove celle può
produrre sistemi praticamente "attaccati" alla cella principale,
dando l'impressione di rinvigorimento del temporale stesso; del resto col
termine "temporale" non si indica necessariamente un Cb solo ma anche
la presenza di sistemi multicellari su una determinata area geografica.
GRANDINE NOTTURNA
La grandine
è certamente più rara di notte, sebbene sia più esatto dire che lo è nella
seconda parte della notte, verso l'alba e le prime ore del mattino. Una ricerca
compiuta nella bassa pianura ravennate dal 1970 ad oggi ha dimostrato che la
fascia oraria meno a rischio è quella che va dalle 04,00 alle 8,00, mentre le
più a rischio sono quella dalle 16,00 alle 19,00 con un secondo picco dalle
22,00 alle 00,00. Alla base di tutto ciò vi è certamente il fatto che nella
fascia oraria 04,00-08,00 si hanno normalmente i più bassi valori termici
giornalieri che ovviamente si traducono in un minore gradiente termico
verticale. Nella prima parte della notte però le temperature possono essere
ancora alquanto alte con tassi igrometrici generalmente elevati: in tal caso la
formazione di celle grandinigene può avvenire tranquillamente, specie se ad
innesco frontale.
Inoltre
mentre nel pomeriggio i temporali grandinigeni provengono generalmente dai
quadranti occidentali o nordoccidentali, di notte hanno di solito provenienza
nordorientale (fronti freddi o dry-lines che interessando i Balcani
"strisciano" sull'Adriatico). I temporali che di notte si formano in
mare sono spesso grandinigeni: alte percentuali di sale marino che
costituiscono la massa d'aria in ascesa sono ottimi nucleatori di embrioni di
grandine e se le correnti guida sono nordorientali tali celle possono
interessare l'entroterra con eventi talvolta molto vistosi. Quindi si è più al
sicuro nella seconda parte della notte ed intorno all'alba; molto meno nella
prima parte.
DIFESA CONTRO LA GRANDINE
I danni
potenziali che una grandinata può causare sono proporzionati a questi 5
fattori:
- dimensione del chicco
- velocità di caduta del chicco
- durezza del chicco
- forma del chicco
- orientamento della traiettoria
di caduta del chicco
Ad esempio,
è possibile che chicchi di grandine molto grossi causino danni minori se questi
sono inseriti in forti correnti contrarie rispetto ad altri chicchi più piccoli
inseriti in correnti "favorevoli" o in un vento tornadico. Esiste la scala Torro per quantificare i
danni cagionati dalla grandine, e fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di
Oxford, Oxfordshire (U.K). L'intensità di una grandinata si riferisce al danno
maggiore che essa ha causato; se i danni non possono essere quantificati (come
per la campagna), l'intensità verrà relazionata alla grandezza del chicco e non
più al danno potenziale che poteva causare.
La grandine
è un fenomeno assai variabile nel tempo e nello spazio ed attualmente esistono
tre mezzi per combattere questo dannoso fenomeno meteorologico:
- frantumazione del chicco
mediante onde sonore prodotte al suolo (cannoni detonanti)
- frantumazione del chicco
mediante onde sonore prodotte dentro la nube (razzo esplodente)
- inseminazione artificiale
delle nubi con particelle microscopiche (ioduro d'argento)
I cannoni detonanti, che sono quelli di cui si parla e che ancora oggi si vedono in
alcune aree, creano onde sonore mediante un emettitore di scoppi a ripetizione
ed a salve. Le onde in propagazione da terra verso l'alto (fino a poche
centinaia di metri) dovrebbero alterare i processi che portano alla formazione
dei chicchi ed alla loro caduta, questo secondo le case costruttrici: peccato
che i processi dinamici che danno il via al fenomeno grandine partano dalla
parte superiore della nube con la nucleazione di cristalli di ghiaccio da parte
dei germi cristallini. Si pensi inoltre che l'onda di pressione generata
dall'esplosione del cannone è valutabile in circa 3-4 millibar a 50 metri dal
cannone stesso, a 1,5 mb a 100 m, a 0,13 mb a 1000 m, ed a 0,033 mb a 4000 m
(nemmeno uno schiocco di dita). Sono pressioni che si rivelano assolutamente
insufficienti sia per influenzare la dinamica del cumulonembo sia per causare
effetto cavitazione (ovvero
una specie di microperforazione del nucleo centrale del chicco in grado di
facilitarne una rottura anticipata durante la caduta al suolo mediante
"spaccatura" per mancata coesione tra le pareti delle pellicole a
crescita secca e crescita bagnata), quindi l'inefficacia è assoluta tenuto
conto dell'immane energia che si sviluppa in cumulonembi grandinigeni. I
cannoni anti-grandine sono uno dei tanti mezzi studiati per combattere questa
dannoso fenomeno meteorologico.
Il presunto principio di funzionamento consiste : nella frantumazione del
chicco di grandine mediante onde d'urto acustiche prodotte al suolo nella
frantumazione del chicco di grandine mediante onde d'urto acustiche prodotte
dall'esplosione di un razzo inviato nella nube dall'inseminazione della nube
con particelle microscopiche liberate dall'esplosione ad alta quota di un razzo
. L'epopea dei cannoni antigrandine ha ormai più di un secolo. Fu Albert
Stiger, sindaco della città austriaca di Windisch-Feistritz, noto viticultore
che nel 1896 concepì un primo cannone antigrandine la cui base di funzionamento
secondo alcune fonti, era di tipo acustico (BATTAN, 1969), secondo altre
producevano denso fumo le cui particelle avrebbero dovuto fluire nella
nube fornendo nuclei di condensazione supplementari per nutrire la
"competizione benefica" aumentando la dispersione delle gocce (AMS,
1981). Questo secondo principio è l'unico oggi ritenuto scientificamente
sensato, ma la dispersione dell'aerosol nucleante (di solito ioduro d'argento)
può dare effetti solo se avviene con mezzi aerei all'interno o al di sopra
della nube in opportuni momenti critici della formazione dei primi
cristalli di ghiaccio. Tornando a Stiger nell'estate del 1896 egli mise in
servizio sei cannoni e quell'anno non venne grandine... Sull'onda
dell'entusiasmo l'anno successivo altri trenta cannoni furono installati nelle
vicinanze, e anche quell'anno non ci fu grandine. Nel 1899 già duemila cannoni
antigrandine tuonavano nel nord Italia; e giunsero a settemila installazioni
nel 1900; il cannone "Stiger" cominciò a diffondersi anche in Russia,
Spagna, America ed Australia. Ma pochi anni dopo i risultati cominciarono ad
essere contraddittori: in alcune località equipaggiate di cannoni si registrò
meno grandine, in altre di più. La spiegazione fu prontamente trovata
attribuendo i risultati negativi a un insufficiente o maldestro uso dei
cannoni. Nel 1902 il governo austriaco ancora non era convinto dell'efficacia
del metodo, inoltre era preoccupato dell'elevato numero di incidenti causati
dai cannoni: nella sola campagna del 1900, per esempio, vi furono undici
morti e sessanta feriti. Nel 1902 a Graz una conferenza internazionale fu così
chiamata a valutare la funzionalità di questo approccio di difesa attiva contro
la grandine, e concluse che il metodo non poteva essere ritenuto valido se non
a fronte di una verifica statisticamente probante. Furono scelte due aree test,
una in Austria (Windisch-Feistritz) e l'altra in Italia (Castel-Veneto), e dopo
due anni di attività l'inefficacia dei cannoni nel prevenire la grandine fu
definitivamente dimostrata dall'occorrenza di alcune tempeste distruttive su
entrambe le aree. Esiste un'ampia letteratura scientifica, in particolare
gli esperimenti italo-russo-elvetici degli anni 70-80 (campagna
GROSSVERSUCH IV), che ha dimostrato l'inutilità (o quanto meno, l'impossibilità
di dimostrare l'efficacia) dei metodi di difesa attiva contro la grandine non
avio-trasportati. Il 10 luglio 1990 un piccolo comune dell'Astigiano aveva un
centinaio di milioni in eccedenza sul bilancio comunale. I contadini chiesero
di impiegare queste risorse finanziarie per installare una rete di cannoni
antigrandine. Il dispositivo fu illustrato al pubblico, (furono usati per la
prima volta attorno al 1905) la sala era gremita, parlando di cumulonembi, di
calore di condensazione, di energia liberata e di come più del botto facesse
una buona assicurazione antigrandine e magari un buon studio climatologico
della distribuzione e frequenza della grandine finanziato da una piccola
percentuale di quei fondi. A tutt'oggi sono ancora molte le località, dalle
Langhe alla bassa Val d'Aosta alla Padania, dove si impiegano cannoni
antigrandine "fai da te", ma ancora si ignora
una banale informazione: quante sono e dove colpiscono le grandinate.
I razzi esplodenti esplodono a circa 2000-2500 m di quota; le onde d'urto prodotte
dovrebbero teoricamente determinare uno sfaldamento dei chicchi prima del loro
impatto sulle colture tramite il fenomeno della cavitazione. Ebbene esperimenti
condotti da enti autorevoli tra i quali l'UCEA hanno dimostrato l'assoluta
inefficacia del sistema per due ordini di motivi: la quota di 2000-2500 m è
troppo bassa in rapporto alla zona con contenuto massimo di chicchi (tra 4500 e
6000 m ma in rapporto all'altezza della tropopausa; in primavera ed in tarda
estate-autunno la quota si abbassa). Ovviamente nel corso della caduta i
chicchi andranno ad occupare anche zone più basse della nube, ma sarà già
troppo tardi per intervenire per la elevatissima velocità di caduta (gravità +
downdraft). Inoltre la pressione esercitata dalla detonazione è apparsa
insufficiente a determinare il fenomeno della cavitazione, se non in un numero
di chicchi assolutamente irrisorio.
L'unica
strada percorribile poteva essere quella della nucleazione artificiale con ioduro d'argento che ha un
elevato effetto "soluto", in modo da ripartire il collidere delle
goccioline sopraffuse o sottoraffreddate (liquide in ambiente sottozero) su un
numero di cristalli di ghiaccio superiore a quello naturale (lo ioduro
d'argento è ottimo nucleatore di germi cristallini), con formazione di chicchi
in numero molto elevato e di piccole dimensioni che poi fonderebbero nella
caduta al suolo. Anche questo tentativo però ha dato risultati appena palpabili
su celle di moderata estensione ed intensità e nulli su celle grandinigene ad
innesco supercellulare (esperimento denominato "Grossversuch IV" con
la collaborazione di molti enti europei). Rimangono quindi le reti antigrandine (con costi ad
ettaro molto elevati) o le assicurazioni,
ma che comunque coprono almeno una piccola parte del rischio.
Misurazione dei
danni da grandine – Scala Torro
La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan
Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K) in riferimento alle categorie di danni
causati dalle tempeste di grandine. I danni potenziali che la tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco e alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione e alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l’orientamento della traiettoria di caduta. L’intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un’area costruita. L’intensità di una grandinata è determinata in riferimento
al danno maggiore che ha causato. Quando una grandinata si verifica in aperta
campagna, dove i danni non possono essere misurati, l’intensità del fenomeno
viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al
danno che potenzialmente avrebbe causato. Quando i danni non sono evidenti
viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio viene
utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati. In
conclusione, è possibile dire che se c’è una stretta relazione tra dimensioni
del chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono
stati inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. È
possibile infatti che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni
minori perché inseriti in seno a forti correnti contrarie.La scala Torro fu introdotta nel 1986 da
Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei
danni causati dalle tempeste di grandine. La scala Torro fu introdotta
nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle
categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine. La scala Torro fu introdotta
nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle
categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine. I danni
potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente
proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla
dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la
durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una
grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree
piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando
si verifica su un'area costruita.
L'intensità di una
grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato.
Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono
essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla
grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe
causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la
categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i
danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi
come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono
essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore,
cioè H5.
In conclusione, è possibile
dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato.
Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una
molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile,
infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori
perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più
piccoli inseriti all'interno dei tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La
scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire
(U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di
grandine.
I danni potenziali che una tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un'area costruita.
L'intensità di una grandinata è
determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una
grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere
misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del
chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato.
Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più
bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono
essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può
potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono essere
quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè
H5.
In conclusione, è possibile dire che
c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state
costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni
per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di
grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a
forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei
tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La scala Torro fu introdotta nel 1986 da
Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei
danni causati dalle tempeste di grandine.
I danni potenziali che una tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un'area costruita.
L'intensità di una grandinata è
determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una
grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere
misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del
chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato.
Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più
bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono
essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può
potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono essere
quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè
H5.
In conclusione, è possibile dire che
c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state
costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni
per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di
grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a
forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei
tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La scala Torro
La
scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire
(U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di
grandine.
I danni potenziali che una tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un'area costruita.
L'intensità di una grandinata è
determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una
grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere
misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del
chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato.
Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più
bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono
essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può
potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono essere
quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè
H5.
In conclusione, è possibile dire che
c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state
costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni
per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di
grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a
forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei
tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La tabella che segue è inversa. Parte
dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare
all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.
La
scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.)
in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.
I danni potenziali che una tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un'area costruita.
L'intensità di una grandinata è
determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una
grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere
misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del
chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato.
Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più
bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono
essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può
potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono essere
quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè
H5.
In conclusione, è possibile dire che
c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state
costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni
per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di
grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a
forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei
tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La tabella che segue è inversa. Parte
dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare
all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti
conosciuti.
La
scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire
(U.K.) in riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di
grandine.
I danni potenziali che una tempesta di
grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla dimensione del
chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla velocità di
caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una grandinata può
essere più facilmente determinata se questa avviene su aree piene di oggetti
che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando si verifica su
un'area costruita.
L'intensità di una grandinata è
determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato. Quando una
grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono essere
misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del
chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato.
Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la categoria più
bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i danni non possono
essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi come uova può
potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono essere
quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè
H5.
In conclusione, è possibile dire che
c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato. Sono state
costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una molteplicità di danni
per meglio classificare gli eventi. E’ possibile, infatti, che chicchi di
grandine particolarmente grandi causino danni minori perchè inseriti in seno a
forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli inseriti all'interno dei
tornado.
Nella tabella che segue, si fa
espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La tabella che segue è inversa. Parte
dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per arrivare
all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti
conosciuti.
Scala Torro - Tabella inversa
Scala Torro - Tabella
Scala TORRO
|
Descrizione dei danni
|
Size code range
|
H0
|
Nessun danno
|
1
|
H1
|
Cadono le foglie ed i petali vengono
asportati dai fiori
|
1
- 3
|
H2
|
Foglie strappate, frutta e verdura in
genere graffiata o con piccoli fori
|
1
- 4
|
H3
|
Alcuni segni sui vetri delle case,
lampioni danneggiati, il legno degli alberi inciso. Vernice dei bordi delle finestre
graffiata, piccoli segni sulla carrozzeria delle auto e piccoli buchi sulle
tegole più leggere
|
2
- 5
|
H4
|
Vetri rotti (case e veicoli) pezzi di
tegole cadute, vernice asportata dai muri e dai veicoli, carrozzeria leggera
visibilmente danneggiata, piccoli rami tagliati, piccoli uccelli uccisi,
suolo segnato
|
3
– 6
|
H5
|
Tetti danneggiati, tegole rotte,
finestre divelte, lastre di vetro rotte, carrozzeria visibilmente
danneggiata, lo stesso per la carrozzeria di aerei leggeri. Ferite mortali a
piccoli animali. Danni ingenti ai tronchi degli alberi ed ai lavori in legno.
|
4
– 7
|
H6
|
Molti tetti danneggiati, tegole rotte,
mattonelle non di cemento seriamente danneggiate. Metalli leggeri scalfiti o
bucati, mattoni di pietra dura leggermente incisi ed infissi di finestre di
legno divelte
|
5
– 8
|
H7
|
Tutti i tipi di tetti, eccetto quelli
in cemento, divelti o danneggiati. Coperture in metallo segnate come anche
mattoni e pietre murali. Infissi divelti, carrozzerie di automobili e di
aerei leggeri irreparabilmente danneggiate
|
6
– 9
|
H8
|
Mattoni di cemento anche spaccati.
Lastre di metallo irreparabilmente danneggiate. Pavimenti segnati. Aerei
commerciali seriamente danneggiati. Piccoli alberi abbattuti. Rischio di seri
danni alle persone
|
7
– 10
|
H9
|
Muri di cemento segnati. Tegole di
cemento rotte. Le mura di legno delle case bucate. Grandi alberi spezzati e
ferite mortali alle persone
|
8
– 10
|
H10
|
Case di legno distrutte. Case di
mattoni seriamente danneggiate ed ancora ferite mortali per le persone
|
9
– 10
|
Size Code
|
Diametro
|
Riferimento
|
Intensità
|
1
|
5 – 10 mm
|
Piselli
|
H0 – H2
|
2
|
11 – 15 mm
|
Fagioli, nocciole
|
H0 – H3
|
3
|
16 – 20 mm
|
Piccoli acini d’uva, ciliegie e piccole biglie
|
H1 – H4
|
4
|
21 – 30 mm
|
Grossi acini d’uva, grosse biglie e noci
|
H2 – H5
|
5
|
31 – 45 mm
|
Castagne, piccole uova, palla da golf, palla da ping-pong, a
da squash
|
H3 – H6
|
6
|
46 – 60 mm
|
Uova di gallina, piccole pesche, piccole mele e palle da
biliardo
|
H4 – H7
|
7
|
61 – 80 mm
|
Grosse pesche, grosse mele, uova di struzzo, piccole e medie
arance, palle da tennis, da cricket e da baseball
|
H5 – H8
|
|
|
|
|
8
|
81 – 100 mm
|
Grosse arance, pompelmi e palle da softball
|
H6 – H9
|
9
|
101 – 125 mm
|
Meloni
|
H7 – H10
|
10
|
Sopra i 125 mm
|
Noci di cocco e simili
|
H8 – H10
|
|
|
|
|
|
Scala Torro - Tabella inversa
La scala Torro
La scala Torro fu
introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in
riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.
I danni
potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente
proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla
dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la
durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità
di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su
aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o
quando si verifica su un'area costruita.
L'intensità
di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha
causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non
possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla
grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe
causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la
categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i
danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi
come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni
non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite
inferiore, cioè H5.
In
conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del
chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati
inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’
possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino
danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad
altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.
Nella
tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è
rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range”
che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla
dimensione.
La tabella che segue è
inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per
arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con
oggetti conosciuti.
La scala Torro fu
introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in
riferimento alle categorie dei danni causati dalle tempeste di grandine.
I danni
potenziali che una tempesta di grandine può causare, sono generalmente
proporzionati alla dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla
dimensione ed alla velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la
durezza, la forma e l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità
di una grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su
aree piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o
quando si verifica su un'area costruita.
L'intensità
di una grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha
causato. Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non
possono essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla
grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe
causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la
categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i
danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi
come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni
non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite
inferiore, cioè H5.
In
conclusione, è possibile dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del
chicco e danno causato. Sono state costruite delle categorie in cui sono stati
inseriti una molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’
possibile, infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino
danni minori perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad
altri più piccoli inseriti all'interno dei tornado.
Nella
tabella che segue, si fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è
rapportata una scala (la scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range”
che ci servirà nella seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla
dimensione.
La tabella che segue è
inversa. Parte dal size-code (ultima colonna della precedente tabella) per
arrivare all'intensità. È inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con
oggetti conosciuti.
Un flagello per l'agricoltura
La grandine è una meteora molto meno
frequente dopo pioggia e neve. Si tratta di una precipitazione costituta da
chicchi di ghiaccio che possono raggiungere forma e dimensione tra le più
svariate. In Italia le grandinate medie, hanno una dimensione che varia da 5 a
10 mm, con diversi casi ogni anno, di chicchi possono essere maggiori e
raggiungere le dimensioni tra la 4 e la 6 della scala TORRO. Come per le trombe
d'aria, esiste una scala di riferimento riferita, in questo caso, alle
dimensioni dei chicchi, non ai danni che provoca.
Danni per il vigneto
Dopo una grandinata bisogna intervenire tenendo presente l’epoca della
grandinata, la gravità del danno, vitigno e condizioni climatiche. Gli effetti
della grandinata sulla vite sono diversi a seconda dello sviluppo di
vegetazione e grappoli.
Le grandinate precocissime (germ.-metà
maggio) colpiscono i germogli di pochi cm, e a seconda dell’entità della
grandinata, esso viene staccato dal tralcio. Si avrà una riduzione della
produzione dell’annata. Partiranno le gemme di controcchio (fertilità dipende
dal vitigno) che saranno in grado di differenziare gemme fertili per l’anno
seguente.
Le grandinate precoci (prefioritura-fioritura-fino
a metà giugno) durante questa fase la grandine può provocare danni molto gravi
perché la produzione d’annata è esposta ai colpi e i tralci possono essere
lesionati e troncati. In questo periodo vanno differenziandosi le gemme
ibernanti che produrranno il prossimo anno. È quindi una fase molto delicata
per le alterazioni del metabolismo della vite conseguenza di una forte
riduzione della superficie fogliare. Nel caso di danno prossimo al 100% può
rendersi utile una potatura delle parti lesionate per favorire di nuovi
germogli che limiteranno l’impatto della grandinata sulla prossima annata.
Le grandinate estive
(allegagione-invaiatura) in questo periodo una grandinata influisce in modo
diretto sulla produzione. La ripresa del vigneto dipende da quanta vegetazione
è rimasta e in grado di assicurare una ripresa vegetativa, dall’andamento
stagionale. In caso di grandinate
estive non gravi il rischio di attacchi di marciume bianco agli acini.
Grandine a tardive (a
maturazione) brevi grandinate possono dar luogo all’insorgere di gravi attacchi
botritici. Il sistema di allevamento a controspalliera, pergola e tendone
offrono un po’ di riparo nel caso di piccole grandinate.
Dopo una grandinata di
medio-grave entità bisogna intervenire con prodotti fitosanitari di
disinfettati(Sali di rame) e prodotti cicatrizzanti(folpet). Nelle parti
lesionate possono entrare nella pianta agenti della muffa grigia(Botrytis
Cirenea), marciume bianco(Coniella) e la rogna(Agrobacterium Tumefaciens) anche
se i danni peggiori si hanno da oidio e peronospora se la nuova vegetazione che
si formerà non è adeguatamente protetta.
Il
Grelimetro
Il
grelimetro e' costituito da un pannello
quadrato di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio
dello spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che
lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i
chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte. La rete dell’ISTITUTO AGROMETEOROLOGICO DI SAN
MICHELE ALL'ADIGE espone i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo
dell'anno di maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle
colture orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine
di ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo.
Le altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione,
con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua durata, l'area di sua
conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime dei chicchi
Il grelimetro
LO STRUMENTO
Il grelimetro e' costituito da un pannello quadrato
di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio dello
spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che
lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i
chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte.
RACCOLTA DEI DATI
La rete dell’ISTITUO AGROMETEOROLOGICO DI SAN MICHELE ALL'ADIGE espone
i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo dell'anno di
maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle colture
orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine di
ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo. Le
altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione,
con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua
durata, l'area di sua conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime
dei chicchi
Il grelimetro
LO STRUMENTO
Il grelimetro e' costituito da un pannello quadrato
di polistirolo, di lato 15 cm, ricoperto da un foglio di alluminio dello
spessore di 170 micron. Il pannello viene montato su di un supporto che
lo espone all'impatto con i chicchi di grandine su un piano orizzontale; i
chicchi lasciano sul pannello una serie di impronte.
RACCOLTA DEI DATI
La rete dell’ISTITUO AGROMETEOROLOGICO DI SAN MICHELE ALL'ADIGE espone
i pannelli nel periodo maggio - settembre, il periodo dell'anno di
maggior interesse per la valutazione dei danni da grandine sulle colture
orto-frutticole. I dati del Centro sono disponibili dal 1974. Al termine di
ogni giornata di grandine il pannello deve essere sostituito con uno nuovo. Le
altre informazioni da segnalare sono ovviamente la località di osservazione,
con i suoi dati, il giorno, l'ora in cui si è verificata la grandinata, la sua
durata, l'area di sua conoscenza colpita dalla grandine e le dimensioni massime
dei chicchi
TEMPORALI DAL LAGO DI GARDA
Il lago di Garda rappresenta un notevole serbatoio di aria molto
umida arricchitasi di vapore acqueo nello stazionarvi sopra ed intrappolata in
un contesto di aria molto calda circostante (la terraferma) tale da conferire
alle celle temporalesche in formazione (siano esse di origine orografica o
frontale) un notevole quantitativo di energia. Ne deriva che l'aria in salita
durante la convezione può avere un dew point (temperatura di rugiada) di
partenza relativamente basso, ma che si innalza notevolmente allorchè comincia
a venire pescata aria dal lago per umidificazione indotta. In tal modo, sebbene
il gradiente termico verticale possa anche scendere di qualche punto per via
dell'acqua più fredda della terraferma, aumenterà sensibilmente quello
igrometrico (aria ugualmente fredda e secca in quota, ma più umida nei bassi
strati) in grado di far salire per esempio l'indice di umidità (dew point).
Succede più o meno la stessa cosa
quando sistemi temporaleschi provenienti dal basso Veneto passano sopra le
Valli di Comacchio: la notevole quantità di aria umida disponibile
ringiovanisce ed intensifica i sistemi stessi che poi sovente provocano
notevoli danni nel ravennate settentrionale. Anche il fiume è in grado di
intensificare gli effetti delle celle temporalesche (sebbene localmente) per
apporto di aria molto umida dal basso; naturalmente ciò vale per corsi d'acqua
di una certa estensione (Po, Adige ecc.) e non per i fiumi di piccola portata.
Molte linee temporalesche se hanno moto parallelo al corso del fiume (nel caso
del Po W-E) e vi possano rimanere per tempi sufficientemente lunghi nelle
immediate vicinanze trarranno notevole energia dall'aria ivi stazionante.
TEMPORALI NELL'ENTROTERRA
I temporali
nell'entroterra dipendono dalla climatologia a scala locale e a volte capita
che prima di raggiungere il mare si indeboliscano col calare della sera o
perchè in fase di collasso non arrivando così al litorale: ciò non dovrebbe
succedere coi temporali ad innesco frontale i quali si possono formare a
qualunque ora del giorno. L'unico aspetto che può influire sul fenomeno è che
essendo la terraferma di giorno sensibilmente più calda del mare sarà lì che si
formeranno di preferenza le celle, magari favorite dalla presenza di rilievi
orografici: quindi, più che non arrivare, i temporali non si formano a distanze
sufficientemente brevi da poter raggiungere la costa (a parte i fenomeni
frontali), specie se, come capita sovente in assenza di linee frontali, le
correnti in quota non sono sufficientemente intense.
Va detto
anche che l'alimentazione d’aria calda dal basso è minore non solo sul mare, ma
già a 5-10 km in linea d'aria dalla costa per cui lo sviluppo delle celle ne
risente: non si formano nuove celle e sul mare possono arrivare solamente le
vecchie di origine interna e capita che collassino prima di giungervi. Le
influenze della brezza di mare sono alquanto limitate in tal senso, poichè le
celle sono guidate dai venti nella medio-alta troposfera (level-guide intorno
6000 m di altezza) e, di certo, una debole brezza marina non può controvertire
l'azione dei venti in quota che guidano i temporali. Infatti il flusso derivato
dalla brezza è di piccolo spessore, esaurendosi già intorno a 1000 m di quota e
arriva al massimo fino a 30 km di distanza dalla costa.
Casomai, per
l'Adriatico, azione contrastante può derivare dall'ingresso da E o NE di venti
secchi di origine continentale che hanno scarsa capacità igrometrica togliendo
alimentazione al potenziale sviluppo delle celle e confinando effettivamente i
temporali all'interno. Naturalmente tali venti svolgono questa azione solo dopo
che in precedenza hanno invece innescato temporali frontali come i colpi di
bora associati a fronti freddi dai quadranti settentrionali. Del resto è vero
che il mare favorisce l'attività temporalesca notturna, ma solo per i sistemi
che si sviluppano sopra le acque. E' altrettanto vero che l'aria umida generata
dall'Adriatico, se portata da venti orientali al suolo, alimenta ed innesca
attività temporalesca nell'entroterra anche nelle ore pomeridiane: poi se le
correnti in quota sono occidentali vedremo i temporali provenire da W, ma
l'alimentazione sottostante può anche essere di matrice orientale e quindi
marittima. I temporali notturni che genera il mar Adriatico provengono quasi sempre
da NNE-NE-ENE-E, ovvero quando le correnti in quota provengono da quelle
direzioni ed il loro innesco primario avviene sopra le acque che in quel
momento sono più calde dell'entroterra.
TEMPORALI
NOTTURNI
I temporali
notturni nascono nella maggior parte dei casi grazie alle correnti fredde che
di notte scendono dalle valli alpine in Valpadana (mini fronte freddo): queste
correnti sono rese fredde dall'irraggiamento notturno oppure dai temporali
eventuali avvenuti nella sera sulle Alpi. Infatti verso sera i Cb che si
sviluppano per cause orografiche sui rilievi alpini tendono ad indebolirsi e
quindi a dissolversi; l'evaporazione dei cristalli di ghiaccio (incudine) e
delle goccioline di nube (parte centrale) determina una diminuzione della
temperatura alle relative quote cui sono poste le frange di tali nubi. Ne
consegue che l'aria a quelle quote si raffredda: una parte di essa rimane in
quota, sostenuta da eventuali correnti sinottiche presenti, mentre un'altra
parte tende a scendere per gravità (la frazione più secca) verso i pendii e
verso il suolo. Inoltre la sommità delle nubi cumuliformi in una determinata
area (chiostra alpina) determina proprio per irraggiamento (le incudini
funzionano da superficie radiante restituendo calore verso lo spazio) un calo
termico superiore rispetto alle zone serene: è la stessa cosa che accade al
suolo di notte.
Ci saranno
quindi nuclei di aria più fredda in quota che di notte possono portarsi, se
mosse da venti in quota favorevoli, in direzione della pianura pedealpina e
padana settentrionale, dove al suolo agiranno i microfronti freddi in grado di
determinare sollevamento termodinamico: aria più fredda anche in quota favorirà
ulteriormente i moti verticali, con formazioni di nubi temporalesche notturne.
L'intuizione la ebbe per primo (o tra i primi) il grande Giorgio Fea (uno dei
padri della meteorologia italiana) cercando di capire come mai si formavano
temporali notturni sulla pianura pedealpina anche in assenza di significativi
passaggi frontali e, quasi di sicuro, centrò il bersaglio al primo colpo.
Se poi il
temporale notturno è violento, allora significa che ha potuto usufruire di due
favorevoli circostanze:
1) aria molto instabile: più l'aria è instabile più
l'iniziale sollevamento dato dal cuneo di aria fredda disceso dalle valli si
trasformerà in violenti moti ascensionali di tipo convettivo. Inoltre quanto
più le velocità ascensionali sono elevate tanto maggiore sarà la quantità di
vapore condensata nell'unità di tempo e quindi tanto maggiore sarà il calore latente
immesso nella massa d'aria in ascesa, il cui moto verticale diviene così
esplosivo. La forte instabilità serale o notturna può a sua volta essere la
conseguenza della presenza di uno strato quasi adiabatico (in cui la
temperatura con la quota può diminuire anche di 10°C/km invece dei classici
6,5°C/km) tra l'inversione notturna al suolo e i primi 1000 metri, come
conseguenza di un forte soleggiamento diurno. All'instabilità può contribuire
talvolta anche l'arrivo di aria più fresca in quota dal nord delle Alpi.
2) aria molto
umida: stagnante
in Valpadana, in quanto essa è necessaria perchè la nube temporalesca possa
crescere fino a notevoli altezze (12-14 km). Più la nube è alta, più sarà
violenta (in vento, pioggia e grandine) perchè significa che gli updrafts sono
così intensi che si sono spinti fino a tali quote facendo ingrossare oltre
misura sia le gocce di pioggia sia cristalli di ghiaccio (che poi diventano
grandine) nelle ripetute salite e discese dentro la nube. I temporali notturni
sono meno comuni di quelli giornalieri e gli indizi più importanti di cui
disponiamo sono la progressione delle precipitazioni e i venti: essi serviranno
per capire come si muove l'updraft principale. Un buon aiuto può giungere anche
da una successione di fulmini che permetteranno di capire il movimento delle
nubi sotto la base del Cb. Ad esempio, ogni lampo potrebbe far vedere i fractus
in differenti posizioni: rammentandone le precedenti, si può ricostruire il
movimento generale di questi fractus che magari stanno ruotando attorno ad una
wall cloud. Un'estesa base dell'updraft sarà tradita dai lampi come una regione
scura; se poi c'è un lowering questo non si farà attraversare dalla luce. Invece
i fulmini non permettono di distinguere con sufficiente chiarezza una wall
cloud o lowering dalle bande di precipitazione: ipotizzando che sia giorno,
ricordatevi che le rain curtain arrivano fino a terra, invece la wall cloud non
tocca terra (eccetto se sviluppa un tornado); veloci e frequenti fulmini individuano
il nucleo o il settore di una nuova cella in fase di sviluppo. Come per le ore
di luce, se un vento da SE diventa calmo significa che ci troviamo sotto
l'updraft; se inizia un vento da W-NW ci troviamo nell'outflow (nessun
pericolo). Un forte vento che inizia poco prima delle precipitazioni
costituisce solitamente una minaccia temporanea, poi il tutto si calma se non
siamo in presenza di una supercella che potrebbe rivelarsi poco più tardi con
una wall cloud.
Conclusioni:
Il problema della
grandine è un problema molto serio che provoca danni soprattutto in agricoltura
mettendo a rischio il reddito di un’intera annata e qualche volta anche della
seconda soprattutto sulle colture perenni. Se la coltura si trova in una zona a
rischio certificata dall’esperienza o tramite il grelimetro è necessario, a
seconda della gravità delle grandinate, proteggere la propria coltura con gli
unici mezzi efficaci Reti Antigrandine o Polizza Assicurativa. Se le grandinate
sono molto forti conviene la rete antigrandine che protegge la pianta perenne sia
dalla caduta del chicco di grandine sia dalla successiva entrata, attraverso le
lesioni create ai rami e al fusto, di possibili infezioni che compromettano in
seguito la vita della pianta.
MARCO MEROTTO - WWW.PROSECCOSTYLE.EU
Bibliografia
BATTAN L.J. - 1969 - Harvesting the clouds. Doubleday & C., New York, P.17.
AMS-American Meteorological Society Bullettin, March 1981-"History
repeated: the forgotten hail cannons of Europe"
La scala Torro
La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan
Webb di Oxford, Oxfordshire (U.K.) in riferimento alle categorie dei danni
causati dalle tempeste di grandine.
I danni potenziali che una
tempesta di grandine può causare, sono generalmente proporzionati alla
dimensione del chicco ed alla velocità di caduta. Oltre alla dimensione ed alla
velocità di caduta, altre componenti da considerare sono la durezza, la forma e
l'orientamento della traiettoria di caduta.
L'intensità di una
grandinata può essere più facilmente determinata se questa avviene su aree
piene di oggetti che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni o quando
si verifica su un'area costruita.
L'intensità di una
grandinata è determinata in riferimento al danno maggiore che ha causato.
Quando una grandinata si verifica in aperta campagna, dove i danni non possono
essere misurati, l'intensità del fenomeno viene messa in relazione alla
grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe
causato. Quando i danni non sono evidenti, viene comunque assegnata la
categoria più bassa. Lo stesso criterio viene utilizzato nei casi in cui i
danni non possono essere quantificati. Ad esempio una grandinata con chicchi
come uova può potenzialmente causare danni nei range H6-H8 (vedi sotto).
Se i danni non possono
essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore,
cioè H5.
In conclusione, è possibile
dire che c'è una stretta relazione tra dimensioni del chicco e danno causato.
Sono state costruite delle categorie in cui sono stati inseriti una
molteplicità di danni per meglio classificare gli eventi. E’ possibile,
infatti, che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori
perchè inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più
piccoli inseriti all'interno dei tornado.
Nella tabella che segue, si
fa espressamente riferimento ai danni causati e ad essi è rapportata una scala (la
scala Torro). Nell’ultima colonna il “size-code-range” che ci servirà nella
seconda tabella per identificare il fenomeno in base alla dimensione.
La tabella che segue è inversa. Parte dal size-code
(ultima colonna della precedente tabella) per arrivare all'intensità. È
inserito il diametro ed il paragone dei chicchi con oggetti conosciuti.
Scala Torro - Tabella
inversa
Bellissimo articolo. Diffondo in langa.
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