martedì 14 giugno 2011

LE VITI RESISTENTI

Nel 1845 in una serra vicino Londra viene scoperta la prima malattia fungina importata dal nord America, l’Oidio. Nel 1868 in Francia viene scoperto il temibile insetto della Fillossera e infine nel 1878 viene scoperta la Peronospora, anch’esso fungo importato dal nord America.
Queste tre disgrazie provenienti dall’America hanno modificato radicalmente la viticoltura Europea. Sino a questo periodo in Europa non esistevano queste malattie e la Vitis Vinifera regnava senza difficoltà, i viticoltori non dovevano certo fare alcun trattamento fitosanitario e la moltiplicazione delle viti avveniva semplicemente sotterrando parzialmente i tralci, era una viticoltura sostenibile, completamente naturale e non inquinante.
L’avvento di queste tre malattie fu un autentico flagello che rischiò seriamente di far scomparire la Vitis Vinifera dall’Europa. Grazie al sapiente lavoro di alcuni tecnici e scienziati le 3 malattie sono state in qualche modo e con dei costi economici e ambientali notevoli, arginate sino ai giorni nostri. Già da tempo ovviamente ci si rende conto che una viticoltura con massiccio uso di anticrittogamici non può essere una viticoltura sostenibile e si sta cercando delle soluzioni a questi gravi problemi, soluzioni che devono garantire in primis qualità almeno pari alla Vitis Vinifera. Questa è insuperata sotto l’aspetto qualitativo ma non possiede resistenze a malattie e parassiti animali, da qui l’idea di ibridare le nostre viti con quelle americane e asiatiche.

L’Incrocio

L’incrocio è l’unione fra individui di due varietà diverse della stessa specie. Gli obiettivi che si ricercano con l’incrocio sono: migliore resistenza alle malattie crittogamiche, adattabilità a climi diversi, qualità e costanza di produzione. È importante la scelta delle varietà da incrociare, la conoscenza dei caratteri e la loro trasmissibilità.

Metodologia

Viene scelta una varietà di sesso maschile o ermafrodita, si insacchetta prima della fioritura e scelta una varietà come femmina o ermafrodita che viene prima insacchettata e poi demasculata (castrata). La castrazione consiste nell’eliminazione con una pinzetta della caliptra fiorale e contemporaneamente anche delle antere, quindi le varietà vengono di nuovo insacchettate. Quando compare il liquido stigmatico si esegue l’impollinazione della varietà madre con quella padre, può capitare che la fioritura dei genitori non sia contemporanea richiedendo quindi tecniche particolari. I semi ottenuti dall’incrocio vengono stratificati in sabbia al freddo per 3 mesi, ottenendo una sufficiente germinazione, poi vengono messi in serra. I semenzali vengono messi in campo dove si attende 3-4 anni per avere la prima produzione e dare inizio alla selezione.

Ibridazione Interspecifica

Consiste nell’unione di individui di specie diverse, questo per ottenere degli ibridi resistenti a Oidio, Peronospora e Fillossera. Ma i risultati ottenuti da esperimenti svolti sin dall’inizio del 1900 non sono stati soddisfacenti e lo sono tutt’ora poco. Per creare un ibrido è necessario conoscere le combinazioni dei geni. Le informazioni genetiche arrivano dai 3 centri di origine della vite:
Centro americano:
a.    Vitis riparia  RESISTENTE A FILLOSSERA
b.    Vitis rupestris  RESISTENTE A FILLOSSERA
c.    Vitis berlandieri  RESISTENTE A CALCARE, SICCITA’ E FILLOSSERA
d.    Vitis longii o solonis  RESISTENTE A SALSEDINE E NEMATODI

Centro asia orientale:
a. Vitis thumbergii  RESISTENZA AL FREDDO 
b. Vitis amurensis  RESISTENZA AL FREDDO

Centro euro-asia: Vitis vinifera
a. le proles pontica occidentalis
b. le proles pontica orientalis
Con questo tipo di ibridazione si sono ottenuti ibridi produttori diretti parzialmente resistenti alla fillossera, devono essere innestati (abbiamo così la trasmissione di virus), e resistenti in parte alle malattie crittogamiche, necessitano quindi di un certo numero di trattamenti inferiore alla vitis vinifera. Sono piante vigorose, produttive, ma producono vino di scarsa qualità (aroma e sapore foxy-volpino-fragola), di basso grado alcolico, alta percentuale di alcol metilico. Dopo un secolo di tentativi che hanno dato risultati deludenti, per il fatto che nell’ibridazione artificiale si mischiano tutti i geni sia buoni che cattivi, si studia ora il genoma delle viti per individuare sui  cromosomi dove sono posizionati i geni che interessano, prelevarli e trasferirli alle nostre viti in modo da turbare il meno possibile l’assetto genetico della nostra varietà, ma conferendone però resistenza conservando la qualità. Nell’ultimo decennio gli ibridi sono molto migliorati, grazie al lavoro svolto in Germania dove si sono reibridati vecchi ibridi con Vitis vinifera, si sono ottenuti ibridi resistenti alle malattie crittogamiche e discreto livello qualitativo del vino. Vedi progetto Piwi (Pilzwiderstandfähig) portato avanti dal viticoltore svizzero Valentin Blattner.

La genetica moderna

La moderna genetica si affianca a quella tradizionale (selezione clonale, incrocio, ibridazione), per l’impiego di metodi avanzati di ingegneria genetica. Lo studio dei caratteri di resistenza mediante incroci e successiva analisi fenotipica che permette di capire se un carattere è monogenico o poligenico, è stata avviata ancora all’inizio del secolo scorso. La mappatura di questi determinanti in una mappa genetica(DNA della vite) è stata avviata da poco grazie allo sviluppo della biologia molecolare. L’avvento dei marcatori molecolare ossia una sequenza di DNA, apre una nuova strada al miglioramento genetico, sostituiscono l’analisi fenotropica con la selezione assistita da marcatori. Quando incrociamo una specie selvatica che ci porta un certo carattere (resistenza a peronospora, oidio, fillossera, siccità, ecc.) con una specie di Vitis Vinifera e poi re incrociamo l’ibrido ottenuto ancora con la stessa specie di Vitis Vinifera, vengono associati al gene che controlla il carattere voluto, dei marcatori molecolari che ci permetterà di predire quale pianta (ibrido) ha ereditato la maggior parte del genoma di Vitis Vinifera e il minor della varietà selvatica pur conservando il carattere selvatico di resistenza voluto. Una nuova generazione di incroci dove si cerca di mettere insieme resistenze multiple, capaci di tenere a bada più malattie e in grado di portare resistenze molto più durature di quelle che abbiamo ora. Questa nuova tecnica consente di ridurre notevolmente i tempi di ricerca e sperimentazione, può essere fatta dopo qualche mese di vita dell’individuo senza dover attendere i 3-4 dell’entrata in produzione, mandiamo in produzione solo l’individuo che a livello genetico presenta il profilo aromatico voluto.

Combinare le resistenze

La resistenza monogenica è destinata col tempo ad essere superata dal patogeno, per avere quindi una resistenza duratura dobbiamo combinare più resistenze per la stessa malattia (piramidizzazione). Lo studio che l’università di Udine per ora riguarda solo singole resistenze, tuttavia programmi che prevedono la Piramidizzazione sono già allo studio sia a Udine che a San Michele all’Adige. Per la resistenza alla peronospora sono stati identificati alcuni major genes: il primo è stato identificato nel 2003 su Vitis Riparia nel cromosoma 7 e 18 e su Muscardinia routondifolia, cromosoma 12. Per la resistenza all’Oidio sono stati trovati 2 geni: il Run1 su Muscandinia introdotto in Vitis Vinifera attraverso una serie di incroci e reincroci e mappato sul cromosoma 12, mentre il Ren1 è stato identificato di recente su Vitis Vinifera proveniente dall’Asia centrale e mappato sul cromosoma 13.

Lo studio dell’Università di Udine

Sono dodici le nuove selezioni di viti resistenti alle malattie create dall'università di Udine in collaborazione con l'Istituto di genomica applicata del Parco scientifico del capoluogo friulano che si apprestano a varcare i confini del Friuli per l'ultima valutazione in differenti aree viticole italiane. Sono state utilizzate le migliori linee resistenti ottenute dai colleghi europei di Ungheria, Serbia, Germania, Austria, Francia e sono state incrociate con vitigni di pregio (Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sangiovese, Tocai ecc.). Si tratta dell'ultima tappa prima della registrazione delle varietà presso il ministero delle Politiche agricole e l'avvio della licenza per la loro immissione sul mercato, previsto a fine 2012. Raffaele Testolin, ideatore del progetto assieme a Enrico Peterlunger e Michele Morgante dell'ateneo friulano hanno selezionato 6 viti a bacca bianca e 5 a bacca rossa ottenute mediante incrocio tradizionale e selezione basata sulle informazioni ottenute dal progetto di sequenziamento del genoma della vite. In questo caso, i benefici andranno non solo al settore vitivinicolo, ma all'intero sistema per effetto della riduzione dei pesticidi che queste nuove selezioni consentiranno, contribuendo a ridurre l'inquinamento ambientale. Le vinificazioni sono state effettuate nei laboratori dell'Unione Italiana Vini di Verona, laboratorio scelto dai ricercatori dell'università di Udine per le competenze e l'elevata professionalità dei tecnici di questa struttura.

Viti transgeniche dal passato la chiave per il futuro

L’importanza dell’argomento è epocale, con il progredire della scienza, in particolare della biologia molecolare potremmo arrivare nel giro di un decennio a coltivare effettivamente viti resistenti e di qualità. Non dobbiamo lasciarci prendere dall’emotività che in questi anni ha puntato il dito contro gli OGM nel nome della naturalità e genuinità dei prodotti, nonostante l’uso in tutta Europa di 68000 tonnellate/anno di pesticidi.
La Vitis Vinifera deriva della Vitis Silvestris selvatica, attraverso numerose variazioni genetiche, basti pensare che la Vitis Silvestris è sia maschile che femminile mentre la Vinifera è ermafrodita e che la sua struttura attuale è composta da 38 cromosomi contro i soli 7 della Silvestris. Altra importante mutazione genetica riguarda il Pinot Nero la cui mutazione ha dato origine al Pinot Grigio, Bianco e Verde. Altre mutazioni genetiche morfologiche sono all’ordine del giorno (zuccheri, aromi, grossezza dell’acino e del grappolo).
In conclusione, il miglioramento qualitativo dell’uva è stato sempre ottenuto con modificazioni genetiche ereditarie.
La Comunità europea permette di produrre vini a Denominazione solo per varietà di Vitis Vinifera, ma riconosce ad ogni stato membro la possibilità di autorizzare l’impianto di varietà interspecifiche a scopo di produzione o sperimentale. I paesi più intraprendenti sono Svizzera, Austria e Germania in cui questi vini non vengono visti come contrapposizione alla Vitis Vinifera ma come alternativa, viene dichiarato in etichetta che il vino viene prodotto da viti resistenti, come fa il produttore tedesco Klaus Rummel che coltiva le varietà resistenti da 22 anni nella sua azienda di 12 ha nella regione tedesca di Rheinland-Pfalz al confine con la Francia, il suo cavallo di battaglia è il Cabernet Blanc. Le varietà Resistenti o Transgeniche non devono essere viste come il soppravvento della globalizzazione sulla località anzi, la resistenza delle viti varia da zona a zona in base al clima locale, la resistenza è un carattere quantitativo la cui espressione dipende molto da fattori ambientali e la stessa modificazione genetica dipende dalla zona in cui le viti vengono poste a dimora.
La strada per la viticoltura futura è tracciata e deve essere necessariamente questa, sostenibile e a basso impatto ambientale, è solo questione di tempo e la scienza riuscirà a creare delle viti resistenti che produrranno vini di qualità paragonabile alla Vitis Vinifera, nazioni come Svizzera, Austria, Germania già le coltivano, ma in Usa e Australia la ricerca è ancora in uno stadio più avanzato nella ricerca della qualità. L’Italia le sta sperimentando. L’importante è continuare sulla strada della ricerca, altrimenti tra qualche anno ci troveremo ad acquistare barbatelle dal Nuovo Mondo che sino a qualche anno fà non sapeva neppure cosa fosse una vite.
"L’importante sarà, nei prossimi anni, uscire da un pregiudizio, riconoscere i problemi reali che la viticoltura ha e risolverli, non ci sono altre strade che risolvano veramente i problemi della viticoltura andando nel contempo verso la riduzione dei costi, la qualità dei vini e sostenibilità ambientale. Per gli ancora scettici e pregiudizievoli aggiungiamo che l’uso di anticrittogamici oltre ad inquinare l’ambiente rimane all’interno del frutto con una certa residualità che ogni anno viene monitorata dalle Regioni e se consideriamo altri settori da quello delle Mele (doppio dei trattamenti delle viti) a quello delle verdure  in cui i periodi di carenza degli anticrittogamici vengono sensibilmente ridotti per non compromettere il prodotto in prossimità della raccolta, cosa realmente mangiamo??? E le cause dell’insorgere di tante malattie??? Non è meglio sdraiarsi tranquillamente sotto una vite resistente a leggere un libro e a cogliere tranquillamente dell’uva non trattata??? Questa non sarà soltanto Viticoltura Biologica ma sarà una Viticoltura Moderna e Sostenibile!!!"

lunedì 13 giugno 2011

I FOSFONATI

Alternativa al Rame: le caratteristiche dei Fosfiti (Parte 2)
Il meccanismo d’azione dell’acido fosfonico non è ancora ben definito, ma esistono delle certezze determinate dalle diverse sperimentazioni:
- L’azione dei fosfonati è influenzata dalla loro concentrazione attorno al patogeno;
- I fosfonati interagiscono con le vie metaboliche del micelio inibendo la sporulazione del fungo;
- Lo ione fosfito ha due azioni: una caustica simile al solfato di rame(ma non blocca la vegetazione) e una che attiva le difese naturali della pianta;
- Stimolano e rinforzano le reazioni di difesa della pianta;
- La pianta reagisce con la produzione di fitoalessine, degradando il tessuto attorno alla parte colpita e rinforzano i tessuti sani della pianta;
- La produzione di fitoalessine è maggiore su tessuti inoculati rispetto a quelli sani e su foglie giovani rispetto a quelle vecchie;
- Il fosfito di potassio ha azione sistemica entra nello xilema e poi nel floema   e vengono portati dalla zona di sintesi a quella di accumulo. Non sono quindi esposti al dilavamento;
- Aumenta il grado zuccherino dell’uva;
- Attiva le difese della pianta anche contro le infezioni da Mal dell’Esca;
- Alcune volte però, i meccanismi naturali di difesa delle piante non riescono a controllare gli agenti patogeni, così le concentrazioni di fitoalessine e di altri anti-microbici rimangono insufficienti a causa di:
  • stress climatici e/o fisiologici;
  • stress da intenso utilizzo di agrofarmaci;
  • elevata pressione degli agenti patogeni.
In tali condizioni il vantaggio tecnico apportato per il ripristino dello stato di salute della coltura dai fosfiti risulta fondamentale.

TOSSICITA’

Da diverse esperienze di laboratorio svolte anche di recente che qui per brevità non trattiamo ma  riportiamo solo i risultati, constatiamo che l’acido fosfonico non provoca nessuna reazione alla pelle, la tossicità è paragonabile a quella dell’acido fosforico utilizzato nell’industria alimentare e inferiore a quella di un’aspirina. Nei fosfiti neutralizzati con potassio o calcio la tossicità è ancora più bassa. Non provoca nessuna alterazione genetica e non ha attività cancerogena. La tossicità del rame è 100 volte superiore a quella dell’acido fosforoso. La tossicità è riferita agli animali, all’uomo e all’ambiente.

DEGRADAZIONE E RESIDUI

Il fosfonato si degrada naturalmente a fosfato che è una sostanza nutritiva per la pianta. Il processo di degradazione dipende dalla temperatura e dal valore di pH e richiede tempi lunghi. Quindi con l’utilizzo dei fosfonati la loro concentrazione all’interno della pianta aumenta sensibilmente. Se l’applicazione del fosfonato avviene prima della fioritura, abbiamo dominanza apicale rispetto al grappolo quindi non abbiamo grande concentrazioni. Dopo la fioritura con allegagione e accrescimento dell’acino, non abbiamo più dominanza apicale ma gli eventuali trattamenti con fosfonati, concentrano l’acido fosfonico all’interno dell’acino stesso. Nelle prove effettuate negli anni, le concentrazioni di fosfonati sono nell’ordine di: nell’uva 31mg/kg e nel vino di 39mg/l con trattamenti settimanali da maggio a settembre mentre nel testimone non trattato i valori sono nell’ordine di 8 mg/kg e 16 mg/l, quindi i fosfonati sono presenti anche naturalmente sulla vite e sull’uva, ma in entrambi i casi sempre al di sotto dei limiti di legge.

I fosfiti possono essere impiegati nelle strategie di difesa delle colture, contro le maggiori avversità, in diverse fasi fenologiche, impiegati in miscele e in sinergia con altri prodotti con diverso meccanismo d’azione.
I risultati che si possono ottenere, in termini di ripristino dello stato di salute delle piante, sono sicuramente tangibili ed apprezzabili. Nelle prove che io stesso sto conducendo nella mia azienda da 3 anni ho costatato un aumento del grado zuccherino a condizione che la pianta non subisca eccessivo stress idrico, peso medio del grappolo simile ad un trattamento con agrofarmaci tradizionali, la sperimentazione oltre agli apprezzabili risultati ottenuti sulle colline del Valdobbiadene DOCG dove sono stati condotti trattamenti anche solo con utilizzo di fosfiti, senza agrofarmaci, è stata condotta su un vigneto di Pinot Grigio in allevamento (anno impianto 2008) in pianura con bagnatura fogliare al mattino. Tenendo in conto che l’annata 2009 è stata abbastanza tranquilla, con trattamenti ripetuti ogni 12gg a dose di 350ml/hl non ho avuto alcun sintomo di peronospora durante tutta la stagione, se non nel caso di un trattamento con viti ancora parzialmente bagnate, in questo caso si ha avuto la comparsa di qualche macchia peronosperica, ma queste non hanno avuto la solita diffusione esponenziale, sono rimaste tali in numero. Riportiamo sotto alcuni preparati in commercio.

CONCIMI FOGLIARIDOSE MEDIA NECESSARIA [ml/hl]CAMPIONAMENTO DITTAPESO SPECIFICO [g/ml]% H3PO3 [g/100ml]
Tenax Ca Mg3302004Bionatura1,5255,2
Fosfisan3702004Agrofill1,4349,2
Fosfid’OR4102004Agrimport1,4244,2
Magnifos K4202003Sariaf1,3043,4
Phosfik4302004Biolchim1,3942,7
Phosfik N-P-K4702004Biolchim1,3838,6
Phytos’K4302003Valagro1,4043,0

L’uso di fosfiti non è ammesso in agricoltura biologica perché è un prodotto di sintesi, mentre è ammesso nella lotta integrata. Questi concimi fogliari non possono essere utilizzati in senso stretto contro la peronospora perché non sono registrati per tale malattia ed esistono diverse controversie legali in atto. Il suo utilizzo deve essere dichiarato nel Quaderno di Campagna (obbligatorio) come concime fogliare, ed è consigliato dal germogliamento alla fase di massima crescita vegetativa(fioritura) in cui cambia l’organo di accumulo, l’acino accumula l’acido fosfonico che rimane nell’uva, nel mosto e nel vino per lunghi periodi anche se sotto i limiti di legge. Ha una bassa tossicità al momento del trattamento in vigneto sia per l’uomo e per l’ambiente e la sua degradazione è in fosfato ossia concime per le viti.

venerdì 10 giugno 2011

ALTERNATIVA AL RAME: I FOSFONATI (PARTE 1)

Peronospora della vite 

I fosfonati sono Sali dell’acido fosforoso detto anche acido fosfonico (H3PO3) e vengono molto spesso erroneamente chiamati fosfiti. Quando l’acido fosforoso (H3PO3) è neutralizzato con una base, ad esempio l’idrossido di potassio (KOH), ne risulta un estere (K2HPO3). Il sale dell’acido fosforoso è un fosfito. Il derivato biologico dell’acido fosforoso è naturalmente un fosfonato. Un prodotto di decomposizione di un fosfonato è l’acido fosfonico.
Questo concetto costituisce una importantissima differenza nella definizione di Fosfiti e Fosfonati. In chimica organica, la differenza tra gli esteri del “vero” acido fosforoso e quelli dell’acido fosfonico diventa più marcata e più importante: i primi vengono detti univocamente fosfiti, gli ultimi fosfonati.
È noto che una soluzione di acido fosfonico ha grande efficacia contro le malattie fungine. I fosfonati inorganici hanno come forma base l’anione HPO32- che si combina con fosforo o sodio formando i relativi Sali. Negli anni Trenta del secolo scorso l’acido fosfonico venne utilizzato per cercare nuovi concimi. Negli anni Cinquanta vennero fatte analisi biochimiche da cui risultò che i fosfonati inorganici sono inerti nei confronti delle cellule viventi. Nel 1977 venne registrato il primo principio attivo da fosfonato inorganico: il fosetil alluminio che rilascia l’anione fosfito H3PO3- durante la degradazione all’interno della pianta. Nel 1986 in Australia dalla sperimentazione in campo aperto dei fosfonati inorganici si ebbe un gran successo e il principio attivo venne registrato. Da diverse ricerche condotte a cavallo degli anni ’90 è risultato che il fosfito di potassio ha la maggiore efficacia contro la peronospora dopo 3-4 giorni dall’infezione, e l’effetto è migliore sulle foglie rispetto all’uva. Il fosfito è molto attivo nelle piante, in quanto leggermente instabile e tende a reagire e ad avere degli effetti relativamente immediati. La molecola è totalmente idrosolubile ed è facilmente assorbita dalle piante sia attraverso le radici che le foglie. I fosfiti, oltre all’azione nutritiva, possiedono un’azione stimolante sulla vegetazione, stimolano inoltre le auto difese della pianta.

Meccanismi di difesa delle piante

L’evoluzione degli organismi vegetali ha creato vari meccanismi di difesa e resistenza ai microrganismi patogeni, sviluppati nel corso della loro esistenza. Le resistenze si classificano in: fisiche e biochimiche.

Le Resistenze fisiche sono riferibili con la struttura della pianta. Le resistenze biochimiche sono relazionate con la produzione di composti chimici tossici la cui sintesi è stimolata quando la pianta riconosce la presenza di un possibile patogeno.

Le Resistenze indotte si sviluppano in seguito all’attacco di patogeni. La pianta, inoltre, tende ad accumulare sostanze attorno all’infezione chiamate fitoalessine. Si tratta di composti antimicrobici di basso peso molecolare prodotti dalle piante in elevate concentrazioni in risposta a fattori di stress. Un esempio di esse sono i fenoli, i terpenoidi, i composti poliacetilenici e i derivati degli acidi grassi. Questi composti tendono a difendere in primo luogo la cellula colpita e in seguito la isolano con un anello di cellule morte attorno al tessuto colpito, evitando la diffusione del fungo e causando la morte della spora.

VITICOLTURA BIOLOGICA: EFFETTI DEL RAME

Viticoltura biologica-effetti-del rame 

Il rame è il primo anticrittogamico utilizzato in viticoltura. Insieme allo zolfo, rappresenta il pilastro portante della viticoltura biologica. Poiché l’utilizzo del rame nella lotta alla peronospora non induce resistenze da parte del patogeno, esso viene ancora oggi utilizzato in modo efficace.
Tra le qualità positive del rame ricordiamo che favorisce la maturazione dei tralci, ha una buona persistenza sulla vegetazione in assenza di pioggia, ha un’attività secondaria contro altre malattie quali il marciume nero, l’escoriosi o la botrite e ha un prezzo contenuto. Il rame è un metallo pesante che a differenza degli agrofarmaci di sintesi non degrada e si accumula sia nel frutto sia nel terreno dove inibisce lo sviluppo di microrganismi.
L’efficacia del rame nel contrasto alla peronospora è di solo contatto, il rame può essere presente in diverse forme: ionica, molecolare e complessa. La forma ionica Cu2+ ha attività fungicida, e gli ioni provengono dalla reazione con la CO2 dell’aria o della pianta con Sali di rame poco solubili in natura. Con questa reazione la solubilità aumenta e il composto rimane solubile per circa 10 giorni e poi precipita. Con questa reazione gli ioni si legano alle pareti delle zoospore. All’inizio lo ione rameico denatura le proteine della membrana e poi opera in diverse reazioni respiratorie e redox all’interno della cellula provocandone la morte. La velocità di liberazione garantisce l’efficacia del prodotto rameico. Anche la formulazione è di gran importanza, con particelle fini e ruvide aumenta l’efficacia. Esistono diversi formulati a base di rame: poltiglia bordolese, ossicloruro di rame, idrossido di rame, ossido di rame e solfato di rame.

EFFETTI SU PIANTE E AMBIENTE

Il rame viene utilizzato sia nella lotta alla peronospora sia nel controllo delle malattie batteriche come l’Agrobacterium Tumefaciens biovar 3 responsabile dei tumori(Rogna) lungo il fusto in caso di forti gelate primaverili. Un altro effetto positivo è di non avere effetti negativi sugli acari predatori.
Gli effetti negativi sono anch’essi importanti: a causa dei ripetuti trattamenti il rame si accumula nel terreno sia per effetto deriva sia per la caduta delle foglie a terra in autunno, il rame se presente in eccesso risulta tossico per la vite e il danno dipende dalla natura di terreno e dalla lavorazione effettuata. In terreni coltivati a vite la quantità di rame al terreno risulta elevato per effetto dei trattamenti. In questi terreni la concentrazione di rame arriva a 100mg/kg e più nello strato superficiale.
Il rame nel terreno può essere classificato in:
- Rame totale: contiene le forme solubili e insolubili e viene utilizzato come indice del potenziale di contaminazione.
- Frazione assimilabile: in funzione del solvente utilizzato contiene la frazione idrosolubile, forme assimilabili e chelate che possono essere mobilizzate o legate a parte di microrganismi.
- Rame mobile: sono le più pericolose per l’ambiente perché sono solubili e possono essere dilavate o legate.
Le tre forme di Rame si accumulano per l’80% nei primi 40cm di terreno, le piante pluriennali con apparato radicale profondo non vengono inibite, mentre quelle annuali manifestano sintomi di tossicità. Anche la Microfauna e la Microfauna  ne risentono, avviene una riduzione dei lombrichi e vengono inibiti i batteri Azotobacter, Clostidium, Nitrosonomas e nitrobacter tutti responsabili della fissazione dell’azoto. Il rame inibendo l’enzima deidrogenasi provoca l’acidificazione del terreno e di conseguenza una diminuzione dell’attività biologica del terreno. Basti pensare che la concentrazione normale di rame presente sulla crosta terrestre si aggira intorno a 70mg/kg, in un vigneto possiamo raggiungere anche i 1300mg/kg (già 200mg/kg sono tossici per le viti) per affetto di accumulo. In terreni sabbiosi avremo valori più bassi mentre in quelli argillosi avremo le concentrazioni più elevate.
Il rame provoca un rallentamento della crescita delle piante, ogni trattamento con rame inibisce la crescita vegetativa, durante la fioritura può provocare la perdita di fertilità delle infiorescenze, inoltre un trattamento in condizioni climatiche di freddo-umido può provocare delle ustioni alle foglie. Rallenta la maturazione del frutto.
L’utilizzo del rame nella lotta alla Peronospora crea dei problemi anche nella fermentazione alcolica. Esso inibisce l’attività dei lieviti e funzionare come catalizzatore accelerando l’azione dell’enzima polofenolossidasi o se non viene allontanato assieme alle feccie può provocare un intorbidimento del vino. Viene rallentata anche la fermentazione Malolattica.
Il rame è un microelemento presente nel corpo umano e serve alla formazione dell’emoglobina, a concentrazioni alte il corpo reagisce rilasciandolo attraverso i reni. È irritante per gli occhi e le vie respiratorie e può provocare ustioni all’apparato digerente.
Per questo da tempo si stanno cercando delle alternativi all’utilizzo del rame, nella Lotta Integrata le alternative sono già utilizzabili e sono i Fosfonati Registrati come Concimi Fogliari ma con effetti che in alcuni casi permettono di essere utilizzati in vigneto anche da soli o quantomeno ridurre l’utilizzo del rame o di altri antiperonosperici di sintesi in modo molto consistente. I Fosfonati sono 100 volte meno pericolosi del rame, ma sono prodotti di sintesi quindi non utilizzabili in agricoltura biologica dove posso utilizzare solo prodotti naturali.

giovedì 9 giugno 2011

OIDIO: DIFESA SOSTENIBILE CON SCNB2

Lo Zolfo è utilizzato come antioidico sin dal 1850 e rappresenta ancor oggi il prodotto più economico ed utilizzato in agricoltura.
Lo zolfo agisce come vapore sul micelio e sulle spore del parassita danneggiando diversi aspetti della biologia del fungo e non permette l’insorgere di fenomeni di resistenza.
Tuttavia ha effetti tossici nei confronti dell’uomo e dell’entomofauna utile, la sua citotossicità nei confronti dei tralci in presenza di temperature elevate ed i problemi di interferenza sul processo di fermentazione, soprattutto nel caso di vitigni bianchi a maturazione anticipata.
Le piante come gli animali col passare del tempo hanno evoluto il proprio sistema immunitario perfezionando i propri sistemi di difesa, in modo da riconoscere il patogeno e attivare di conseguenza la specifica difesa per bloccare l’invasore.
La complessità di questi meccanismi di risposta non sono ancora svelati anche se la ricerca sta riuscendo a decifrare alcuni meccanismi. Esistono diversi tipi di difesa delle  piante, ma quello che a noi interessa in questo contesto è la Resistenza Sistemica Acquisita(SAR). Ogni pianta attaccata da un patogeno (oomiceti, funghi, batteri, virus, nematodi, insetti) attiva le proprie difese nel punto d’infezione, nelle parti più lontane della pianta viene attivata una difesa sistemica che protegge i tessuti da possibile colonizzazione conseguente del patogeno. È una resistenza ad ampio spettro ed ha una certa persistenza nel tempo. Una resistenza indotta(ISR) tipo SAR attivabile con microrganismi, allerta la pianta e la rende pronta a rispondere in modo rapido al patogeno. La SAR è legata all’acido SACILICO mentre ISR all’acido JASMONICO e all’etilene.
L’SCNB2 (Brevetto depositato in Italia il 10 Agosto 2009 n. VR2009A00123) è un idrolizzato proteico con proteine estratte dalla carne(ottenute da bollitura) e un idrolizzato proteico(PEPTONE) composto da catene di aminoacidi ottenute da proteine di origine animale dopo digestione(caseina, soia, pisello) in rapporto 3:5 in peso. Entrambe inducono resistenza contro l’oidio, ma insieme danno un effetto sinergico. Le sostanze che lo compongono sono totalmente naturali, innocue per l’uomo, l’ambiente e gli insetti e sono presenti nel mercato a costi bassi. Il prodotto rispetta i principi sull’agricoltura biologica, è applicabile anche in lotta integrata in combinazione con altri fungicidi, fertilizzanti, agrofarmaci che ne completano l’efficacia. L’SCNB2 viene diluito in acqua prima del trattamento con dose da 0,8 a 8g/l e più e non lascia alcun residuo sulle piante e sui frutti derivati anche con applicazioni in fase di raccolta.
È stata testata l’efficacia nei confronti dell’oidio su vite, fragola, zucchina, cetriolo ed una parziale efficacia nei confronti della peronospora della vite.

MECCANISMO D’AZIONE

L’SCNB2 è un induttore di resistenza e l’attivazione della difesa avviene sia sulle foglie trattate sia su quelle non trattate. Le prove sono state svolte su vite in campana con inoculo 6 ore dopo il trattamento, il prodotto di riferimento è il Thiovit a 3g/l. Il controllo della malattia è buono e l’efficacia è confermata anche in campo aperto. La gravità della malattia a fine luglio è di poco superiore a quella del campione trattato con zolfo tradizionale.
CONCLUSIONI
Nelle applicazioni in vigneto in condizioni di elevata pressione della malattia non offre un controllo totale se usato per tutta la stagione, ma ha bassi costi ed è innocuo. Potrebbe essere utilizzato in condizioni di bassa pressione della malattia o comunque ridurre la quantità di principio attivo utilizzabile.
Con i cambiamenti climatici in atto, la riduzione della superficie coltivabile per l’avanzare della desertificazione, la siccità e l’aumento della popolazione mondiale, per soddisfare al bisogno di ciascun individuo dobbiamo conservare le nostre risorse, proteggere l’ambiente nel rispetto dei nostri figli. Questa sfida sarà vinta solo con pratiche a basso impatto ambientale che limitino i prodotti chimici di sintesi. La ricerca avrà un ruolo fondamentale nel passaggio da un’industria chimica ad una sostenibile, quindi ad un’agricoltura sostenibile che dia frutti di qualità più genuini per il consumatore.

LAVAGGIO DELLE UVE PRE-AMMOSTAMENTO

Durante il normale ciclo produttivo della vite, l’uva viene in contatto con molte sostanze esterne: antiparassitari, agenti inquinanti portati dal vento e dalla pioggia e trattenute da bucce e raspi, come residui terrosi, sali minerali, sostanze radioattive, metalli pesanti come rame, piombo, mercurio, cadmio i principali.
Queste sostanze sono nocive in primis per l’uomo e in secondo luogo per il metabolismo dei lieviti che svolgeranno la fermentazione. Quando l’uva viene portata in cantina e immessa nella tramoggia di carico essa contiene anche: foglie, viticci, piccoli tralci, qualche insetto, oltre alle sostanze elencate prima, poi durante la fase di ammostamento ed estrazione avviene la contaminazione del mosto (acido) con queste sostanze, alcune di esse solubili. La loro presenza sugli acini è evidente assaggiandoli, questi risultano terrosi e dal gusto metallico. La presenza di antiparassitari è ritenuto la prima causa degli arresti di fermentazione.

Gli antiperonosperici più temuti sono della famiglia dei triazoli che agiscono sul fungo bloccando la via di biosintesi dell’ergosterolo che modificando il metabolismo degli acidi grassi e degli steroidi nei lieviti, non rallentano solo il processo fermentativo stressando il lievito, ma generano anche prodotti secondari in quantità eccessiva come acido acetico e acido solfidrico. Queste sostanze vengono eliminate con i normali trattamenti al mosto e al vino, infatti quasi tutti i metalli (eccetto il rame) precipitano durante la fase fermentativa mentre i residui di principi attivi dei trattamenti antiparassitari sono in gran parte insolubili e non sono un pericolo per il consumatore. Risulta quindi difficile trovare vini che contengano questi residui ovviamente effettuando un lavaggio preventivo delle uve è a tutto vantaggio di un miglior funzionamento dei lieviti e quindi una migliore qualità del vino. È importante notare che la residualità è sempre ampiamente inferiore alla normativa vigente (anche il rame 50% inferiore ai limiti di legge) e anche le grandi catene di distribuzione si stanno muovendo imponendo ai produttori, limiti ancora inferiori a quelli di legge.

Lavaggio delle uve con sistema CLU®

La macchina, lunga 8 metri, è costituita da una vasca principale  con 3500 litri di capienza riempita con una soluzione per il lavaggio all’1% di acido citrico in cui l’uva permane per 3-6 minuti, viene poi raccolta da un nastro trasportatore sul quale viene spruzzata acqua di risciacquo e portata sotto tre potenti getti d’aria per l’asciugatura e quindi raccolta nella tramoggia per l’ammostamento. Una prima valutazione va fatta sull’acqua di lavaggio e quella di risciacquo. Dopo il trattamento nella soluzione di lavaggio troviamo grandi quantità di agrofarmaci e rame, meno di ferro e zinco. L’acido citrico non entra nell’uva e non c’è perdita di acidi o zuccheri dall’uva. Per la vinificazione in bianco, dalle prove risulta che il lavaggio allontana una parte dei lieviti indigeni, rispetto alla vinificazione senza lavaggio delle uve, ma i Saccharomyces, inferiori in numero, crescono più velocemente, abbiamo un veloce consumo di zuccheri e una durata di fermentazione inferiore. Anche per la vinificazione in rosso il comportamento è simile con un importante effetto secondario di aumento della temperatura anche di 6°C. Il trattamento di lavaggio può essere effettuato solo su uve intere, raccolte a mano e in cassette. Gli acini danneggiati riversano il loro contenuto nell’acqua di lavaggio. Anche per le uve passite abbiamo indubbi benefici: in quanto il mosto inizia a fermentare già 36 ore dopo la pigiatura, i lieviti sono meno stressati e abbiamo un contenuto di 1,1g/l di acidità volatile contro 1,5 del non lavaggio. Un importante problema per le uve passite è l’assorbimento di acqua intorno al 4% che può porre dei problemi legali.

Conclusioni


Il sistema  è molto interessante per produzioni limitate e d’elite in cui l’uva è raccolta esclusivamente a mano e in cassette. Il processo di vinificazione si allunga con inevitabile aumento dei costi. Di pro abbiamo fermentazioni pulite con lieviti poco stressati e abbattimento delle sostanze sgradite che si formano in fermentazione.

mercoledì 8 giugno 2011

VINO DEALCOLATO: IN VIGNETO O IN CANTINA?

La dealcolazione consiste nella riduzione del grado alcolico del vino. È autorizzata con Regolamento CE n. 606/2009 del 10 luglio 2009 che introduce come tecnica ammessa la dealcolazione parziale dei vini. Ci sono due strade per ridurre il grado alcolico: la prima in vigneto e la seconda in cantina.
In vigneto, coltivando varietà a maturazione precoce, con vendemmie anticipate e poi utilizzando in vinificazione lieviti a ridotta efficienza nella produzione di alcol. La seconda strada regolata come detto, consente la dealcolazione massima di 2% vol. e un titolo alcolometrico minimo di 8,5% vol.. I vini trattati non devono presentare difetti organolettici da correggere, non è consentita la dealcolazione per un vino arricchito e il trattamento deve essere indicato nel registro ed eseguita da un tecnico qualificato. Le tecniche di dealcolazione di un vino sono due: La tecnica a Membrana e la Preestrazione.
La tecnica a Membrana permette di separare le particelle in sospensione, colloidi, microrganismi e soluti e quindi possono essere adattate a diversi processi. In particolare permettono di ridurre il grado alcolico. La tecnica della dealcolazione è legale in molti paesi extra CE probabilmente legata al cambiamento climatico, alla ricerca della qualità di maturazione delle uve che ci porta a vini con elevato grado alcolico con implicazioni sociali che conosciamo. Questi impianti funzionano con frazionamento della massa del vino (passaggio indiretto) sul quale si pratica la rimozione dell’alcol con diverse vie. L’australiana Csiro ha messo appunto la “Spinnig Cone Column”, la riduzione del grado alcolico avviene in due fasi: la prima toglie e conserva gli aromi e la seconda distilla l’alcol. In California la Vinivation ha messo appunto un sistema basato sull’osmosi inversa seguita dalla distillazione del prodotto. La multinazionale Franco-Svizzera, Buchler-Vaslin combina la filtrazione tangenziale all’osmosi inversa. La collaborazione tra Juclas/Vason e Università di Verona ha dato alla luce MasterMind Remove che dealcola parzialmente il vino con rese comprese tra 4 e 100l/h il tutto nel rispetto della qualità organolettica del vino. La separazione non avviene mediante distillazione, ma attraverso il contatto con una membrana idrofoba detta “Remove”. La membrana è interposta tra vino da dealcolare e acqua, fa da estrattore e genera uno strato gassoso attraverso il quale passano i composti volatili e in particolare l’etanolo. Questo trattamento prevede un solo passaggio diretto sul vino senza richiedere frazionamenti e significative diminuzioni di volume.
Dal punto di vista qualitativo non ci sono significative differenze sotto il profilo aromatico, mentre  sotto il punto di vista organolettico la diminuzione dell’alcol permette ai centri sensoriali di selezionare i sentori gusto-olfattivi in modo più preciso. Il processo avviene a temperatura ambiente e tiene sotto controllo l’acquisizione di ossigeno da parte del vino.
La sensazione è che con i limiti normativi al consumo di alcolici, gli elevati gradi zuccherini conseguenza del cambiamento climatico e anche il difficile momento economico, si vada in un prossimo futuro verso vini con elevato grado alcolico che debbano far ricorso a queste tecniche per avere nuovi sbocchi di mercato, sempre nel rispetto di tradizione e disciplinari di produzione.